Giorgio Bettinelli era uno scrittore. Forse, di quelli meno bravi con la penna ma con delle belle storie da raccontare. Nel 1992 monta su una Vespa e da Roma arriva fino a Saigon, dopo percorrerà oltre 300mila chilometri in lungo e in largo per il mondo e si fermerà solo, tra una destinazione e l’altra, per scrivere i suoi libri. Lo confesso: poche persone hanno guadagnato la mia invidia come Bettinelli.

La nazione più bella

Nei suoi libri racconta che all’arrivo in qualche città c’era sempre un giornalista di una TV locale che, intervistandolo, gli faceva sempre la stessa domanda: “Qual è il paese più bello che hai visto?”. Bettinelli aveva imparato a rispondere, ovunque si trovasse: “Questo!”. Dopotutto, a chi non farebbe piacere scoprire di vivere nel paese più bello del mondo? Ma sapeva di mentire. Bettinelli, che il mondo lo aveva visto quasi tutto, pensava che non ci fosse nazione più bella dell’Iran.

Così, ad aprile di qualche anno fa, decido di dargli retta e organizzo un viaggio in Iran per vedere se avesse veramente ragione. E alla fine (ma forse fin dall’inizio) ho scoperto che era proprio così. Anche per chi, come me, è anestetizzato alla grandezza e alla bellezza dei luoghi (come solo chi vive a Roma può esserlo), l’Iran risulta essere un Paese straordinario. Tralascio l’infinito elenco di cosa è imperdibile vedere, per concentrarmi solo sull’aspetto più incredibile di tutto il viaggio: le persone.

Il clima di oppressione

C’è una parte buia e cupa dell’Iran. La sharia pesa come un macigno e si respira un clima di oppressione, la cui evidenza continua sono le donne strette e costrette in veli neri, sempre in triste contrasto con i luminosi colori dei paesaggi, dei mosaici e dei sorrisi delle persone. Quando era notte, nei ristoranti, lentamente e a poco a poco, si sentiva avanzare la libertà e qualche donna scopriva un po’ la testa.

Qualcuno chiudeva le porte del locale ed era il segnale che la tirannia stava fuori e si poteva scoprire qualche centimetro di libertà. Nelle pause, di giorno, non c’è stata guida o autista che non parlasse, con gli occhi innamorati, della libertà occidentale e con un po’ di disprezzo della dittatura teocratica. Il regime può controllare tanto, ma non controllerà mai tutto. E in quelle crepe era facile sentire tutta la voglia di libertà di un popolo. Per tenere un gruppo unito e compatto bisogna fare leva sulla similarità tra i membri che ne fanno parte e sulle differenze rispetto a chi non ne fa parte. La somiglianza può diventare un obiettivo comune, la differenza può sfociare nella paura o nell’odio verso un nemico.

Lo scontro generazionale

Tutte le dittature (grandi o piccole) hanno sempre usato questa ricetta, la teocrazia iraniana non è da meno. Ma in passato era più facile, oggi per riuscirci ti devi chiudere a riccio e impedire al mondo di entrare dentro e svelare il tuo trucco. In nessun altro paese come in Iran è forte lo scontro generazionale. Più della metà della popolazione ha meno di 35 anni, l’età media è di 27 anni (21 in meno rispetto all’Italia). Alla teocrazia non resta che la forza per tenere insieme tutto, comprese le profonde differenze etniche e culturali. Uno sforzo dobbiamo farlo anche noi, smettere di pensare che il popolo iraniano e la teocrazia iraniana coincidano. Altrimenti rischiamo di fare il gioco di chi vuol farci passare per nemici del paese più bello del mondo, ma non (ancora, purtroppo) del mondo libero.

Andrea Laudadio

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