La “Repubblica” islamica iraniana celebra, in questi giorni, i 46 anni dalla presa del potere e, nella parata inscenata dai Guardiani della rivoluzione, si sono visti sfilare in segno di scherno asinelli con le bandiere degli Usa, del Regno Unito e di Israele. I giovani del movimento “Donna, Vita, Libertà” si sono rifiutati di aderirvi e non sopportano più questo regime che accusano di aver imprigionato il paese instaurando una mostruosa istituzione totalitaria che ha ghermito la popolazione e che per 46 anni ha fatto loro il lavaggio del cervello con una propaganda asfissiante antiamericana e antiisraeliana. Una istituzione che obbliga i bambini fin dalla tenera età a gridare “Morte all’America” e “Morte a Israele” e a bruciare nel cortile delle scuole la bandiera Usa e quella con la stella di Davide.

L’altra parte del corteo dei pasdaran a Teheran

In un’altra parte del corteo inscenato dai pasdaran a Teheran, al quale un gran numero di persone è stato costretto a partecipare, è stata rappresentata una impiccagione di un manichino raffigurante il presidente Trump proprio di fronte a Masoud Pezeshkian, presidente della Repubblica islamica, e ad alti funzionari pasdaran. Il presidente degli Stati Uniti ha appena ripristinato la sua strategia di “massima pressione” contro l’Iran, chiedendo allo stesso tempo l’avvio di negoziati sul programma nucleare della Repubblica islamica. Lunedì, il presidente iraniano Pezeshkian ha respinto la richiesta del leader Usa di negoziare sul programma nucleare della Repubblica islamica, sostenendo che vi è contraddizione tra i gesti diplomatici di Trump e la sua strategia di “massima pressione” contro Teheran.

La scorsa settimana Trump ha firmato un memorandum in cui delinea una strategia volta a “impedire all’Iran ogni via verso l’arma nucleare e a contrastare l’influenza maligna dell’Iran all’estero”, anche attraverso l’imposizione di ulteriori sanzioni. Domenica scorsa, Trump ha dichiarato al New York Post che preferirebbe raggiungere un accordo con l’Iran in merito al progetto iraniano di dotarsi di un’arma nucleare, affermando che un accordo sarebbe preferibile a un’azione militare. Trump è stato molto chiaro. La Repubblica islamica iraniana non ha alternative. Il presidente Usa ha detto al New York Post che l’Iran non sarà bombardato se accetterà un nuovo accordo sul nucleare scritto dal Pentagono. “Vorrei che si facesse un accordo con l’Iran sul no al nucleare. Preferirei questo piuttosto che bombardarlo a più non posso. Se facessimo l’accordo, Israele non bombarderebbe l’Iran”, ha precisato Trump. Dunque, l’unica possibilità di salvezza per Khamenei e per la Repubblica islamica è accettare un nuovo programma per la rinuncia al nucleare che Washington sottoporrà a Teheran.

Un accordo per Khamenei

I comandanti dei Guardiani della rivoluzione islamica IRGC esortano la guida suprema Khamenei a revocare la fatwa che mette al bando le armi nucleari, sostenendo che ora sono più che mai essenziali per la sopravvivenza del regime contro le minacce occidentali. Il sito del governo americano ha pubblicato in Farsi una dichiarazione di Trump con la quale egli si rivolge a Khamenei dicendogli che vuole trovare un accordo con l’Iran ed è disposto a offrire grandi vantaggi se accetterà di negoziare. Negli ultimi 46 anni, il governo Usa non era stato mai così propositivo come lo è adesso nei confronti di Teheran.

Intanto, assistiamo al solito balletto retorico tra il presidente iraniano che spenge alla moderazione e la guida suprema che si mostra intransigente, ma è solo una farsa, una messa in scena, un teatrino già visto nella retorica propagandistica della Repubblica iraniana. In un gioco di retorica propagandistica, da una parte Khamenei manda avanti la sua marionetta, il presidente Pezeshkian con il compito di mostrare a Washington un’apertura al dialogo, nella speranza di riprendere il negoziato sul nucleare per vedersi allentare le sanzioni che hanno contribuito a mettere in ginocchio il paese, e dall’altra c’è lui, la guida suprema, che ha il compito di mostrare i denti e una ferma intransigenza nel rifiuto di ogni dialogo con gli Usa.

L’esempio dei predecessori

Tutta scena, tutta propaganda, già vista con i predecessori: Rohani, Ahmadi Nejhad e Khatami. È da notare che Khamenei questa volta non ha attaccato direttamente Trump, ma ha parlato di lui con molto rispetto. Insomma, la Repubblica islamica sembra impaurita e senza via di uscita e la guida suprema cerca di non apparire prostrata e umiliata. Trump aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano nel 2018 e aveva reimposto dure sanzioni alla Repubblica islamica, sostenendo che l’accordo era “unilaterale” e non scoraggiava sufficientemente l’Iran. L’accordo offriva un alleggerimento delle sanzioni per La repubblica islamica in cambio della riduzione del suo programma nucleare. L’Iran insiste sul fatto che il suo programma è per scopi pacifici.

Domenica Axios ha riferito che il team di Trump teme un complotto iraniano che ha lo scopo di uccidere il presidente dopo il fallito attentato del luglio scorso. Lo scorso fine settimana, il suo team ha temuto che Teheran potesse abbattere il jet personale del presidente che si stava recando ad un evento, per questo è stato fatto viaggiare su un aereo esca di proprietà del magnate immobiliare e ora inviato presidenziale in Medio Oriente, Steve Witkoff.

Il regime indebolito

Nel 2019, Trump ha annullò all’ultimo minuto un attacco contro l’Iran. L’azione sarebbe stata una risposta all’abbattimento da parte di Teheran di un drone statunitense nei pressi dello Stretto di Hormuz. Ora il presidente Usa ritiene che il regime iraniano sia fortemente indebolito, politicamente, economicamente e militarmente, ha perso la sua ramificazione in medio oriente e che dunque sia questo il momento più propizio per metterlo con le spalle al muro.