La debacle afghana deve essere un’occasione per gli Stati Uniti e i suoi alleati di una pausa di riflessione e di praticare una virtù che di solito esula dai loro atteggiamenti: la modestia. L’Occidente deve capire che da solo non può salvare il mondo. Washington non è più il Praeceptor Mundi. Londra, Parigi o Berlino non lo sono certo. Non puoi imporre i valori della tua civiltà che si sono costruiti attraverso tante contraddizioni, contributi interni ed esterni, lotte civili, religiose e guerre, alle altre civiltà: si deve fare uno sforzo per riconoscere i valori delle altre civiltà e su come le differenze costruiscono un comune e plurale sentire.

Se l’Occidente interviene, deve pensare attentamente a dove utilizzare e quali risorse. Soprattutto, dovrebbe agire solo per una causa in cui crede veramente e che vale il sacrificio. Altrimenti scapperà di nuovo. Ovunque dovrebbe misurare con attenzione l’opportunità di azioni militari e valutare strade alternative e in particolare quelle nascono dai popoli. Ero contrario all’intervento militare in Afghanistan. Avrei preferito un intervento civile e cooperativo basato sulla partecipazione degli afghani. Certo che bisognava difendersi dalla violenza armata dei talebani, ma resto convinto che bisognava cercare strade alternative. Detto questo non voglio unirmi a coloro che dicono che si è perso con il ritiro delle truppe.

Ora bisogna che venga elaborata una strategia di intervento in quella regione che non tenda solo a ragionare sui punti di forza, ma su come quelli che sono stati considerati punti di debolezza possano aiutare a capovolgere la logica della violenza e a dare vita a un ordine basato sul rispetto e la convivenza delle differenze. La presenza militare con tutti i suoi limiti ha ancora una volta insegnato che dal male e dagli errori può inavvertitamente sorgere qualche cosa di bene che oggi vediamo emergere nella nuova consapevolezza delle donne afghane che, ne sono certo, i talebani non riusciranno a soffocare e che sarà la fonte dove nascerà qualche cosa di nuovo e di imprevedibile.

Vanno pertanto pensate azioni di cooperazione popolare ad iniziare dall’accoglienza dei profughi che possono diventare la base della rinascita civile di quel martoriato Paese, come i fuoriusciti italiani del tempo fascista lo sono stati per noi.