Del pacifismo italiano Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, direttore della Rete nazionale delle scuole per la pace, e organizzatore della Marcia PerugiAssisi, è da sempre un solido punto di riferimento. Il messaggio che rilancia dalle pagine de Il Riformista è forte e chiaro: “Noi non ci arrenderemo mai alla guerra”.

La guerra d’Ucraina è entrata nel secondo anno. A dettare legge è la “diplomazia delle armi”. E la politica?
La politica, purtroppo, si è suicidata. Dobbiamo costruirne una nuova.

Cosa intende quando afferma che la politica si è suicidata?
Da quando è scoppiata questa guerra, abbiamo avuto la prova di questa rinuncia pazzesca che la politica ha fatto della sua stessa ragion d’essere. La politica è quello strumento che è stato ideato per evitare che i conflitti finiscano nel sangue, che sfocino in guerra. L’Europa stessa, e dentro l’Europa l’Italia, era nata per impedire il ritorno della guerra. Invece questa politica ha rinunciato innanzitutto a quello che doveva fare, cioè impedire in tutti i modi che ci fosse un 24 febbraio 2022. Non l’ha fatto allora e a ha continuato a non farlo dopo. La politica ha delegato interamente alle armi la difesa del popolo ucraino, dello Stato d’Ucraina, la difesa della legalità e del diritto internazionale. La politica non ha fatto nulla. Ha semplicemente delegato interamente non la soluzione ma la gestione del problema, con degli esiti catastrofici.

Qual è il messaggio e la sfida di cui il movimento pacifista si fa carico?
L’alternativa non è tra sottomissione o guerra, libertà o guerra, ma tra la guerra e la ricerca della pace. È davanti a questo bivio che non si sta scegliendo la cosa giusta da fare e non si sta tentando di percorrere un’altra strada che non siano solo armi, armi, armi. Per salvare la vita degli ucraini dobbiamo togliere la parola alle armi e ridarla alla politica. Una politica nuova, una politica di cura, di pace e nonviolenza basata sul diritto internazionale dei diritti umani, sul disarmo e sulla consapevolezza che un mondo ormai globalizzato, frammentato, sottoposto a grandi sfide comuni richiede il passaggio dalla competizione selvaggia alla cura reciproca, dall’economia di guerra all’economia della fraternità, dalla sicurezza armata alla sicurezza comune. La storia degli ultimi vent’anni di guerre ci insegna che la guerra è incapace di risolvere i problemi. La guerra li aggrava, li moltiplica, li estende. Questa guerra poteva e doveva essere evitata. Abbiamo riempito l’Ucraina di armi ma non è servito a proteggere gli ucraini dal flagello della guerra. È il suicidio della politica. Non è vero che le armi sono l’unico aiuto che possiamo dare all’Ucraina. La politica torni ad essere l’alternativa alla guerra.

Per aver sostenuto queste idee, il movimento pacifista è stato tacciato a più riprese e da più parti di essere “filo Putin”, di fare il gioco, più o meno consapevolmente, dello zar del Cremlino.
Quest’accusa è uno degli elementi di questa guerra “mediatica “ che è scoppiata insieme all’invasione russa dell’Ucraina. Viviamo in una democrazia e ciononostante questa democrazia è sempre più messa in difficoltà da una classe politica e anche da un coro di opinionisti che praticano la censura e l’attacco a tutti quelli che la pensano in maniera diversa. In questo tempo non ci deve essere spazio per chi ha dei dubbi o ha delle proposte alternative. Noi siamo tra coloro che le guerre le hanno volute prevenire, contrastare, risolvere da sempre. E che per guerre non abbiamo considerato soltanto i conflitti armati ma anche tutte le grandi violazioni dei diritti umani. Da quando è scoppiata, nel 2014, la crisi e successivamente il conflitto all’interno dell’Ucraina, noi abbiamo organizzato ben 6 marce per la pace Perugia-Assisi, senza contare tutte le altre cose che abbiamo fatto. E in tutte queste iniziative, l’impegno del movimento pacifista non è venuto mai meno. C’abbiamo messo la faccia, i corpi, l’azione non violenta, una solidarietà fattiva. Abbiamo costruito, giorno dopo giorno, una “diplomazia dei popoli”, dal basso. Lo abbiamo fatto non solo sull’Ucraina ma anche in tante altre situazioni non meno tragiche, anche quando questi conflitti non interessavano a nessuno. Noi c’eravamo e chi ha un minimo di onestà intellettuale questo lo sa. Ma il problema è un altro.

Vale a dire?
Lo si vede anche qui a Perugia. In questi giorni c’è un festival del giornalismo che ha deciso scientificamente di non dare alcuno spazio nemmeno a un dibattito attorno al modo in cui si deve difendere l’Ucraina. C’è un sostegno totale a questa ipotetica, unica strada che è quella di continuare a buttare benzina sul fuoco e non c’è nemmeno uno spazietto per un confronto, per chiedersi se esistono altre strade, dove andremo a finire se continuiamo per questa strada… No, le domande in questo caso non sono previste.

Da oltre un anno l’attenzione internazionale è concentrata sull’Ucraina. Ma nel mondo sono in corso oltre 40 guerre “ignorate”. Da tempo Papa Francesco parla di una “terza guerra mondiale a pezzi” in atto.
Una terza guerra mondiale a pezzi. Dopo aver sviluppato una competizione sul piano economico e finanziario, lo scontro tra Usa e Cina è arrivato a considerare l’ipotesi concreta di una terza guerra mondiale. Negli Stati Uniti si sta parlando apertamente di uno scontro militare con la Cina. E tutte le cose che stanno accadendo anche in termini di pressioni politiche sull’Europa e sul nostro paese, sono in gran parte finalizzate all’organizzazione dei campi alleati in una guerra che mi fa venire i brividi solo ad immaginare. Eppure ci sono politici e militari di alto livello che negli Stati Uniti stanno programmando questi scenari come scenari assolutamente realistici. Come si possono dormire sonni tranquilli se soltanto scegliamo di non ignorare quello che sta succedendo oggi nel mondo? Non ci stancheremo mai di ribadire che la guerra è una trappola e il pericolo di finire nell’abisso di un conflitto nucleare si fa sempre più concreto. I propagandisti del “pensiero unico della guerra” non ne vogliono sentir parlare, ma la via della pace esiste e Papa Francesco non si stanca di indicarla ai credenti e non credenti di tutto il mondo, con magistrale fermezza e coerenza.

Nel suo viaggio in Polonia, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha rilanciato con forza l’idea di una difesa comune europea.
Noi siamo sempre stati favorevoli ad una riduzione degli eserciti. L’idea di passare da 27 eserciti a uno solo, peraltro coerente con le fondamenta dell’Unione Europea, sarebbe più che auspicabile. Oggi, purtroppo, in un contesto in cui persino la Nato è nella sostanza un mosaico di posizioni politiche e d’interessi in continua divergenza è al limite dell’impensabile. Ci sono interessi profondamente diversi, e non parlo soltanto di quelli geopolitici ma anche di quelli più concreti. Quelli che possono garantire ai paesi europei il benessere di cui abbiamo potuto godere fino ad oggi. Questa guerra ha di fatto compromesso due degli elementi fondamentali della nostra economia: l’accesso a fonti energetiche a un prezzo contenuto, e la possibilità di sviluppare un’attività di scambi commerciali con tutto il mondo, Cina compresa. E la fine di tutto questo non sarà certo l’esercito europeo. Sarà una prosecuzione e un allargamento del divario che esiste tra chi gestisce la grande politica e le condizioni concrete di vita degli europei e quindi anche di noi italiani. Condizioni che stanno già peggiorando e che rischiano di peggiorare ancora di più. A tutto questo noi non ci arrendiamo. I pacifisti non “disarmano”.

Avatar photo

Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.