La guerra e la difficile “arte” della diplomazia. I rischi di una crisi di Governo e le insidie internazionali che potrebbe innescare. Il Riformista ne discute con l’ambasciatore Giampiero Massolo. Presidente di Fincantieri S.p.A. e Presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), Massolo è stato Segretario generale del Ministero degli Esteri e Direttore Generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza presso la Presidenza del Consiglio.

“La Russia deve essere riconosciuta come Stato terrorista”. Lo ha chiesto al “mondo democratico” il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, nel suo video intervento alla Conferenza dell’Aia sull’Ucraina. Ambasciatore Massolo, il “mondo democratico” come dovrebbe rispondere?
Questi aspetti valoriali sono ineliminabili da qualsiasi linea seria di politica estera, soprattutto delle democrazie occidentali. Non vi può essere una politica estera esclusivamente basata sugli interessi. C’è una dimensione valoriale che distingue le politiche estere delle democrazie occidentali da quelle delle autocrazie. È vero però anche il contrario…

Vale a dire?
Non ci possono essere politiche estere che prescindano dagli interessi e dai risultati. Questo mi porta alla conclusione che in questa situazione è necessario affermare i valori ma è altrettanto importante perseguire degli obiettivi concreti. E allora c’è da chiedersi se designare la Russia come Stato terrorista avvicina la pace o è indifferente per essa o addirittura l’allontana. Poiché in questo momento la diplomazia internazionale, purtroppo per ora con scarsi risultati, è comunque impegnata a trovare quelle formule che quantomeno frenino la violenza e portino ad una interruzione delle operazioni militari, la risposta a Zelensky sta nel chiedergli: una definizione di questo genere, che se assunta avrebbe delle inevitabili ricadute sul già complicato quadro politico-militare, allontana o avvicina, favorisce o sfavorisce gli sforzi della diplomazia?

Per restare sui principi valoriali e sul perseguimento degli obiettivi concreti. A commento dell’ultimo vertice Nato di Madrid, Il Riformista ha titolato: “La Nato si è venduta a Erdogan gli eroi di Kobane”. E questo per ottenere il “sì” della Turchia alla richiesta di Finlandia e Svezia d’ingresso nell’Alleanza atlantica. Come la mettiamo, ambasciatore Massolo?
Anzitutto bisogna dire che i termini di quell’accordo non ci sono ancora noti. E io dubito che Paesi di solida tradizione democratica come la Svezia e la Finlandia abbiano svenduto alcunché. Vedremo poi il sistema giudiziario, i tribunali svedesi e finlandesi cosa faranno nel caso dei rifugiati curdi. Detto questo, è chiaro che noi in questo momento abbiamo bisogno della Turchia. La Turchia fa parte della Nato, con tutte le problematicità che conosciamo. Ha un esercito potente. Controlla la leva del flusso migratorio attraverso il corridoio anatolico-balcanico. È presente in Libia e dunque influisce sul traffico migratorio che da lì si sviluppa. È un Paese che ha dimostrato nella crisi del grano di avere una capacità di mediazione, perché ha messo intorno a un tavolo la Russia, l’Ucraina, l’Onu, creando un formato negoziale che potrebbe rivelarsi utile in futuro. Con un Paese come questo è necessario, direi inevitabile, in questa fase dialogare.

Mosca auspica per l’Italia “un Governo non asservito agli interessi americani”, ha detto nei giorni scorsi, in un commento all’Agi, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. E questo dopo che l’ex premier e presidente russo, oggi numero due del potente Consiglio di Sicurezza, -Dmitrij Medvedev sul suo canale Telegram aveva pubblicato un’eloquente combo di immagini: la foto del primo ministro britannico Boris Johnson, quella di Mario Draghi e un terzo riquadro con un punto di domanda bianco, come a chiedersi chi sarà il prossimo leader europeo che ha apertamente contrastato la guerra russa in Ucraina a dimettersi. Cosa si può dire a proposito?
Intanto stendiamo un velo pietoso sul pulpito dal quale viene la predica. In secondo luogo, credo che l’ex presidente Medvedev continui a perdere delle occasioni per tacere, rendendosi vieppiù ridicolo sulla scena internazionale. In terzo luogo, l’Italia non è mai stata asservita agli interessi americani. L’Italia ha spesso trovato una coincidenza d’interessi e di valori con un grande Paese come gli Stati Uniti. Un Paese leader nel mondo, leader dei valori occidentali, con il quale l’Italia ha collaborato, di cui è alleata all’interno della Nato. Tutti e due insieme facciamo parte di quell’Occidente nel quale siamo radicati, per storia, per cultura, per una condivisione non solo di politiche ma di principi e di valori. Non vedo come si possa parlare di asservimento.

Sulla base della sua importante esperienza diplomatica. In momenti particolarmente gravi, caldi, di crisi internazionali, le perturbazioni politiche interne ai singoli Paesi, possono avere delle ricadute in politica estera. Il riferimento all’Italia è d’obbligo.
In una situazione di pericolosa crisi internazionale, che può avere conseguenze rilevanti e dove bisogna tenere i nervi saldi, è importantissimo avere istituzioni e governi funzionanti. Devo dire che trovo rischioso anteporre gli interessi di parte a quel clima di solidarietà nazionale che deve essere proprio di momenti come questi. Non solo sul piano dei valori ma anche da un punto di vista tecnico, l’alleanza occidentale ha bisogno di governi e istituzioni funzionanti, di climi nazionali quanto più compatti possibile, altrimenti si fa il gioco dell’avversario.

Una “Super Nato” non rischia di rimpicciolire l’Europa?
È chiaro che una Nato che ritrova una forte motivazione per esistere, che si allarga, si estende dal punto di vista della membership, è una Nato che rende più evidente una dimensione di sicurezza e di difesa che si era andata un po’ offuscando negli ultimi anni. Il che, però, non elimina o riduce l’esigenza di un’Europa che abbia un proprio sistema di difesa e sicurezza che possa contribuire con efficacia alla stabilizzazione. L’equivoco è di vedere queste due entità – la Nato e l’Europa – quasi concorrenziali fra loro. Non lo sono. Sono complementari. E una “gamba” europea forte, in termini di difesa e sicurezza, rafforza quello che è il sistema di sicurezza occidentale. Non vedo contraddizione tra questi due processi. Non va scambiata la dialettica con la divisione. Quello a cui bisogna fare attenzione è che per alcuni Paesi dell’Unione europea una Nato più forte non diventi un alibi per disinvestire, capitale politico e capitale finanziario, dal disegno di difesa europea. E qui Paesi come l’Italia, la Francia, la Germania devono guidare questo processo per evitare sbilanciamenti potenziali. Mi lasci aggiungere che è nostro interesse negoziare il futuro assetto della sicurezza in Europa ed evitare che le regole di questo assetto le detti la Russia: per fare questo a noi serve una pace negoziata che negozi su tutti gli aspetti contesi. Uno stato di attrito continuo con la Russia, invece, non è nell’interesse dell’Europa. Partire negoziando gli aspetti negoziabili, come lo sblocco dei porti ucraini, può essere un primo passo che consenta poi di fare progressi anche su aspetti che non siano il grano. La “cronicizzazione” del conflitto, che non si risolva in maniera negoziata, non è nell’interesse dell’Europa e dell’Italia. Ma lo è ancor meno far sì che la guerra si concluda con la vittoria dell’aggressore. Ecco perché è necessario continuare a sostenere l’Ucraina, Paese aggredito, nel rispetto delle norme del diritto internazionale. Una pace giusta, sostenibile, che regga nel tempo, non può fondarsi sulla mera registrazione dei rapporti di forza definiti sul campo. Certo è, però, che se quei rapporti sono assolutamente squilibrati a favore di una delle parti belligeranti – la Russia – la ricerca di una soluzione diplomatica diventa assai difficile. L’Ue non deve farsi dettare il futuro da Putin. Per noi è preferibile una pace negoziata. Non si debbono lesinare sforzi per una soluzione negoziata, si dica ciò che è negoziabile. E questo spetta alle due parti in conflitto. Quanto ai rapporti con gli Stati Uniti, spesso mi sento chiedere in confronti pubblici se non sono un alleato scomodo…

La sua risposta?
È che restano ancora la potenza di riferimento, senza ombrello Usa non c’è sicurezza in Europa. Ciò detto, aggiungo che non è un alleato comunque da seguire pedissequamente.

L’attenzione internazionale è concentrata sul conflitto russo-ucraino, mentre sembra esserci oscurata, anche dal punto di vista mediatico, un’altra grande emergenza: quella del Mediterraneo.
Sì è no. Nel senso che nell’ultimo vertice Nato la problematica mediterranea è stata comunque considerata e non marginalmente. Certo, bisogna fare attenzione e rimanere vigili, tanto più a fronte di un quadro geopolitico diverso da quello pre-guerra.

In che senso, ambasciatore Massolo?
Il manifestarsi, in termini così drammatici, della minaccia russa, non deve portare a indirizzare l’attenzione politica e il flusso di risorse soltanto verso il fronte est. E qui, di nuovo, è responsabilità di Paesi come il nostro, insistere nel sottolineare un’esigenza che resta reale e che continua a essere piuttosto impegnativa dal punto di vista delle minacce che comporta, dai risorgenti fenomeni di terrorismo jihadista, alla sfida energetica o quella dei flussi migratori. Occorre prendere atto, e agire di conseguenza, che il confronto con la Russia non è solo al confine est dell’Alleanza ma anche a quello sud, nel Mediterraneo. Si tratta di contrastare la politica dei blocchi che Mosca ha già iniziato a fare in Siria e in Libia. È bene averne contezza.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.