Da quando è cominciata, ho preso l’abitudine di dedicarle del tempo di notte e specialmente su catene televisive diverse dalle solite: Al- Jazeera e la Romania hanno in genere materiali che non si vedono altrove, ma anche Israele e la Turchia. Peccato, grandissimo peccato non poter vedere noi i programmi televisivi russi, anche se non parlo la lingua di Tolstoj, perché era divertentissimo vedere le due reti che si potevano ricevere prima del 24 febbraio, più Russia Today, in inglese e tagliata come Cnn, ma purtroppo l’Europa ha preferito applicare la censura alle emittenti russe. Ad aprile ci fu un boom in Lituania di di speciali decoder per vedere i canali russi e la frenesia di vedere ciò che facevano vedere in Russia diventò una moda contagiosissima perché le news che venivano trasmesse da Mosca erano considerate più surreali che umoristiche. Era ancora l’epoca dell’assalto a Mariupol difesa da qualche migliaio di adolescenti con ufficiali trentenni che secondo Putin erano in realtà nazisti fedeli a Hitler.

Sembrano secoli, anziché pochi mesi, perché tutto è cambiato. Ed è cambiato a causa delle armi in campo. Ricordate quello che sembrava il quesito demoniaco su cui era così banale odiarsi e insultarsi? Discutere se mandare le armi all’esercito ucraino affinché potesse ricacciare indietro gli invasori. Grande dibattito. A differenza di molti, io seguito a pensare che Francia e Inghilterra fecero il loro dovere quando dichiararono guerra alla Germania di Hitler che aveva invaso la Polonia dopo aver preso accordi con Stalin per dividersela in due: il cinquantun per cento all’Unione Sovietica (che la incorporò direttamente) e il quarantanove al Reich tedesco. Quando Parigi e Londra dichiararono guerra alla Germania colpevole di una ennesima invasione, i pacifisti di tutto il mondo scesero in piazza da New York a Parigi per protestare contro la guerra. La guerra di Hitler? No: la guerra a Hitler. Con Hitler si sarebbe dovuto trovare un accordo, un compromesso che tenesse conto delle sue esigenze, ma la guerra no, assolutamente no. In quel caso inglesi e francesi fecero una pessima figura perché per un lungo periodo non combatterono la guerra che avevano dichiarato: i poveri polacchi scrutavano il cielo aspettando gli aerei francesi, ma si vedevano soltanto Stukas tedeschi.

L’esercito polacco, come oggi quello ucraino si gettò al massacro caricando a cavallo contro i carri armati Panzer usando delle lance contenenti una efficace carica esplosiva. Fu chiamata “la drôle de guerre”, la buffa guerra, ma i polacchi furono schiacciati non avendo armi con cui combattere e quando videro arrivare l’Armata Rossa applaudirono ingenuamente, non sapendo che i russi erano venuti soltanto per prendersi la prima parte di un molteplice bottino che contemplerà la Finlandia, le tre repubbliche baltiche e un pezzo di Romania che non era negli accordi ma che Hitler bonariamente concesse ai russi. Qui, nella guerra russa contro l’Ucraina la decisione di non dichiarare guerra ma fornire al Paese invaso armi efficaci, fu presa rapidamente con grandi scene di lacerazione e si chiedeva con insistenza di specificare se si trattasse di armi di sola difesa oppure anche di offesa. Quesito in apparenza complicato ma che si risolve rispondendo che dipende da chi le usa: se un invasore o un invaso.

Fino a tre mesi fa, chi non è un esperto di faccende militari non lo sapeva. Ma oggi abbiamo imparato che tre armi diverse fanno la differenza in questa guerra: non i carri armati e nemmeno gli aerei ma la propaganda, la minaccia di provocare un disastro nucleare bombardando gli impianti e infine la nuova artiglieria, fatta di velocissimi lanciarazzi che dopo aver sparato scappano a gran velocità e con motori potentissimi per non farsi distruggere. Sulla propaganda si è scritto molto, in maniera approssimativa e attingendo spesso a fonti di propaganda create per rendere indistinguibile il vero dal falso. Sul nucleare, sappiamo ormai che la minaccia non consiste nell’ipotetico uso di bombe atomiche “tattiche”, cioè un po’ più potenti di quella di Hiroshima, ma nel tenere sotto il tiro dell’artiglieria grandi impianti come quello di Zaporizhzhia mettendone a rischio la stabilità.

La propaganda poi provvede a rendere dubbia la provenienza di ogni cannonata, motivo per cui le forze armate russe insistono nel sostenere che l’esercito ucraino in preda a uno scaltro masochismo bombarda la propria grande centrale per darne poi la colpa ai russi. Ieri due funzionari dell’energia atomica delle Nazioni Unite sono riuscite a ottenere tutte le protezioni legali per effettuare un’ispezione e il risultato è stato molto più grave del previsto: «La centrale risulta pesantemente bombardata anche nelle aree prossime al nucleo centrale e dunque occorre un lungo e delicato intervento immediato sule strutture per evitare che i danni possano causare un disastro di proporzioni immani che potrebbe interessare non soltanto l’Ucraina ma l’intera Europa». Una diagnosi spaventosa se solo si pensa ai danni che provocò la catastrofe di Chernobyl e che starebbe per accadere di nuovo ma moltiplicata per dieci volte e con la capacità di emettere fumo radioattivi che investirebbero l’Europa.

Non è qui il caso di ricordare quanto sta accadendo in Europa con sommosse nel Regno Unito e manifestazioni di utenti che bruciano in piazza le bollette dell’energia, ma non bisogna dimenticare lo stretto collegamento con la guerra russo-ucraina e le curiose minacce della portavoce del ministero degli Esteri russo che promette agli italiani un inverno senza riscaldamento per il ruolo del nostro governo nel lanciare e far accogliere la proposta del tetto dei prezzi. La guerra sul terreno prosegue come la digestione di un pitone che divora se stesso: una guerra sanguinosa in cui muoiono civili e in cui si svolgono rappresaglie e si muovono al tempo stesso agenti portatori di lusinghe per tutti quegli ucraini di lingua russa che sono disposti ad accettare nelle zone occupate cittadinanza e passaporto russo, benché le autorità militari occupanti abbiano dovuto rinunciare al referendum plebiscitario perché la guerra non è statica ma si muove lentamente.

È questa oggi la situazione di città come Kherson che sono state conquistate alla prima ondata dai russi e che oggi stanno lentamente tornando in mani ucraine, proprio perché gli uomini di Kiev dispongono di un sistema di artiglieria americano che è più potente e preciso di quello russo. Per far funzionare queste enormi macchine computerizzate che costano milioni di dollari, occorre preparare del personale d’artiglieri specializzato fuori dall’Ucraina. E questo è il motivo per cui i soldati ucraini devono cedere ad americani ed inglesi folti gruppi di combattenti affinché vadano a fare all’estero in una base della Nato il corso che li rende idonei a usare armi ad altissima tecnologica, superiori alle corrispondenti armi russe. L’ingresso di questi lanciarazzi in Ucraina ha modificato le sorti della guerra sul terreno e presto lo modificherà anche nei cieli quando torneranno i pochi piloti ucraini rimasti e che sono stati spediti a seguire corsi accelerati per poter pilotare aerei occidentali.

Finora la Nato aveva rifornito gli ucraini con armi russe dei loro magazzini che del resto sono già usate in quantità nei Paesi della Nato che un tempo appartenevano al patto di Varsavia. La guerra è dunque mobile, la vittoria dei russi non ancora scontata ma non è scontata neanche la loro disfatta e gli ucraini sanno di dipendere totalmente per i loro arsenali da Stati Uniti e Regno Unito, essendo pressoché insignificante il materiale fornito da Paesi come il nostro. La guerra, dunque, continua e Putin ha chiarito ogni giorno, l’ultima volta a Macron pochi giorni fa, che la Russia non ha alcuna intenzione di sedersi a un tavolo di negoziati e dice che lo farà soltanto il giorno in cui tutte le sue richieste saranno soddisfatte. Ci aspetta più d’un inverno come quello che è alle porte.

 

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.