Politica
La libertà è ancora partecipazione? Ripensare la politica nell’era dell’infocrazia
Il dibattito sulla ricostruzione di una forza liberale si scontra con una società dominata dai mezzi di informazione. Giustizia, equità e diritti fondamentali possono essere le basi di una nuova proposta politica nel “mondo nuovo”?
Libertà è partecipazione, cantava Gaber. E il punto è proprio questo. Il lungo, e anche un po’ estenuante, dibattito che si sta consumando in questi mesi sulla eventuale o necessaria ricostruzione di una forza politica di chiara marca liberale è incentrato, in prevalenza, sul confronto, più o meno garbato, tra fautori e detrattori. Si fa a gara nei distinguo, nelle proposte di metodo, nelle formule. Fedeli al vecchio motto pannelliano “dentro ma fuori dal palazzo”.
Ma questo sforzo per individuare punti comuni, aspetti imprescindibili di una possibile identità e relativa prassi assomiglia molto alla roccia di Sisifo o a un koan giapponese: si deve? Non si deve? Dal basso? Dall’alto? Con un partito? Fuori dai partiti? Mettersi nelle mani del messia federatore o confidare nella provvidenza? Più mercato, meno mercato? Parlamentarismo o movimentismo? Tutte questioni lecite e sacrosante. Ma una domanda manca all’appello ed è la stessa che si poneva Keynes qualche decennio fa: “sono un liberale?” O, declinata nello spirito dei nostri tempi: possiamo ancora definirci liberali o riformisti? E, ancor di più, di quale libertà parliamo?
I tanti discorsi che hanno riempito fino ad oggi le pagine dei giornali tradiscono un certo tecnicismo astratto. Ma il tema della qualità della libertà nel “mondo nuovo”, cui proprio il Riformista guarda con curiosità e attenzione, resta sfumato, quasi in retroguardia. Eppure, è il tema o dovrebbe esserlo. Il filosofo tedesco Byung-chul Han ha definito, in modo lapidario, la nostra società come una “infocrazia”, ossia un mondo dominato dalle dinamiche pervasive dell’Intelligenza artificiale, del web, dei social media e dalla propaganda dei grandi mezzi di informazione che pilotano coscienze e consenso.
Una società frammentata e polarizzata, votata al consumo, per svuotare di senso ogni forma di partecipazione civile e politica. Un quadro forse apocalittico ma che impone di riflettere se, oggi, libertà, giustizia, equità, diritti possono ancora rappresentare quell’orizzonte fondativo su cui, ad esempio, John Rawls, aveva costruito un liberalismo democratico capace di garantire le basi di una vita civile. E su quale terreno, oggi, una proposta liberale moderna può davvero incontrare un popolo, il proprio popolo? La politica insegue i modi e il facile consenso degli influencer, stordendo il pubblico con un “dichiarazionismo” irrilevante.
Si preoccupa della partecipazione o meno di un rapper al concertone di Roma ma fatica a cogliere le trasformazioni repentine di un mondo del lavoro dove, come avviene in Inghilterra, i grandi magazzini assumono “personale a tempo” tramite app specializzate, azzerando ogni forma di contrattazione e tutela tradizionale. Se si pensa che un gruppo whatsapp possa bastare per resistere alle destre e, come era ovvio, tutto finisce in farsa.
Ma non si coglie che il tema dell’immigrazione non è solo una battaglia giudiziaria che diventa schermaglia pro o contro un ministro, ma richiede di tutelare i valori fondanti della democrazia occidentale che sono alieni, se non ostili, per culture molto diverse dalla nostra. Anche le religioni sembrano afone e fragili di fronte a un quadro sociale che non comprendono più. E, dunque, la libertà è davvero ancora partecipazione? La risposta non è facile e non basta un coup de théâtre. Ma la domanda è necessaria, il confronto non demandabile e coinvolge tutti coloro che hanno a cuore davvero questo cammino.
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