La maggioranza “forte, coesa e compatta” che ha vinto il 25 settembre si frantuma alla prima curva. E manda in pezzi anche le opposizioni. Sicché si può ben dire che la legislatura iniziata ieri, la numero XIX, comincia malissimo. “Ma cosa hanno combinato? Ci ride dietro tutta Europa” commentava ieri alla Camera un deputato senior della Lega.
Ignazio La Russa, 75 anni, avvocato, fondatore di Fratelli d’Italia, la gioventù nel Msi, è stato proclamato Presidente del Senato ieri alle 14. Era il primo obiettivo di Giorgia Meloni – blindare per sé palazzo Chigi e la seconda carica dello Stato oltre che la Camera alta che può decidere vita e morte dei provvedimenti di legge – e lo ha ottenuto. Ad un prezzo altissimo, però: l’umiliazione di Forza Italia, la certificazione della sua irrilevanza. Il centrodestra (Fdi, Lega, Fi, Noi moderati) dispone al Senato di una maggioranza netta, 115 voti così suddivisi: 66 di Fdi, 29 della Lega, 18 di Forza Italia e 2 di Noi moderati.
La Russa è stato eletto con 116 voti. Considerando che dei 18 di Forza Italia hanno votato solo due (Berlusconi e Casellati), significa che il nuovo presidente del Senato è stato sì eletto alla prima votazione ma grazie a 17 voti delle opposizioni. Le quali, se non fossero scese in campo dietro il paravento del voto segreto, avrebbero costretto la maggioranza “forte, coesa e compatta” a procedere ad un secondo zoppicante scrutinio. E magari anche al terzo. La Russa, super esperto di dinamiche parlamentari, lo ha anche detto nel discorso di insediamento: “Ringrazio tutti, e soprattutto coloro che mi hanno votato pur non essendo della mia parte politica”. Che schiaffo.
Giorgia Meloni incassa quella che definisce “una vittoria”. “Sono intenzionata a dare a questa nazione un governo autorevole – taglia corto – Non ho alcuna intenzione di fermarmi davanti a questioni che sono secondarie” .
C’è una scena chiave per raccontare la spaccatura della maggioranza. Dopo l’emozionate discorso della senatrice Liliana Segre (“nell’ottobre del ’38, ero una ragazzina costretta a lasciare il banco delle scuole elementari per via delle leggi razziste. Oggi sono qui nel banco più alto della Repubblica”), Berlusconi – che starà in aula dalle 10 alle 14 – si chiude nella stanza del governo con Gasparri, Miccichè, Casellati, Bernini, Ronzulli. Da Fratelli d’Italia è arrivata la conferma: votare La Russa alla prima chiama. Ma il Cavaliere non ci sta, non vuole perché “a me i veti non piacciono”. E non sono pochi i veti sugli azzurri: nessuna delle due presidenze; no categorico a Licia Ronzulli nella squadra di governo; divergenze anche sulla giustizia visto che Meloni vorrebbe Nordio mentre il Cavaliere vorrebbe Casellati e il resto di Forza Italia fa il tifo per Sisto.
Sembra un paradosso ma in questa fase Salvini indossa i panni del mediatore. Tutti gli occhi sono su di lui che ormai, a malincuore, ha accettato La Russa e mollato Calderoli. In cambio avrebbe avuto ministeri importanti: Interni (al prefetto Piantedosi), Agricoltura, Autonomia, Disabilità. Se Giorgetti andasse al Mef, è una scelta di Meloni e non della Lega. Non tutti sono d’accordo ma Forza Italia decide di votare scheda bianca nel primo scrutinio. A quel punto il Cavaliere, un po’ incerto sulle gambe, torna in aula. Siede nel primo scranno a destra della prima fila, in quello che, raccontano i veterani della sala stampa, “una volta era il posto di Andreotti tanto che sul velluto c’era pure rimasto il segno della gobbetta”. Accanto a sé ha Sisto, Casellati, Miccichè.
Passa La Russa, si ferma, di due parlano fitto finché Berlusconi lancia una penna, chiude la cartellina e sbotta in un vaffa. La Russa gli ha appena comunicato che “Forza Italia o no, mi sono già assicurato i voti che mi servono”. A quel punto votano per dovere istituzionale Berlusconi, che sarà capogruppo, e Casellati che è il Presidente uscente. E pensare che all’urna catafalco lo accompagna Daniela Santanchè, una ex fedelissima poi transitata in Fratelli d’Italia. In quel momento le senatrici Ronzulli e Bernini sono assenti e quando le avvertono è già accaduto tutto. “Ho voluto dare un segnale di collaborazione – dirà dopo il Cavaliere – sapevamo che La Russa avrebbe avuto il voto di altri”.
L’irrilevanza di Forza Italia fa il paio con la debolezza della maggioranza. E le opposizioni non stanno meglio. A palazzo Madama è subito partita la caccia ai 17 franchi tiratori. Renzi e Calenda sono i primi sospettati. “Fate meglio i conti, siamo 9 e non abbiamo i voti sufficienti” dicono entrambi respingendo i sospetti. In effetti serve anche l’aiuto di altri. O Pd o 5 Stelle. Che sono accusati dal Terzo Polo di aver già fatto l’accordo per accaparrarsi le due vicepresidenze (Franceschini, Pd, e Patuanelli, M5s) del Senato riservate alle opposizioni e tagliando fuori il Terzo Polo.
La presidenza della Camera è rinviata a oggi. Ieri le tre votazioni sono andate “bianche”. Nella Lega è testa a testa tra Molinari e Molteni.
In alto mare è ancora e soprattutto il governo. Meloni ha perso la partita del “pacchetto unico” (presidenze e governo insieme). Adesso si procede per step. E questo rende tutto più rischioso. La presidenza della Camera, ad esempio: , non è escluso che alla fine spunti il nome di Tajani a mò di risarcimento del fatto che Licia Ronzulli non entrerà al governo Su questo Meloni non arretra: non vuole avere fuoco amico dall’interno dell’esecutivo che ha cose serie ed urgenti di cui occuparsi. Uno lo regge, Salvini. Due, no. Berlusconi è costretto a accettare ma avverte: “Il braccio di ferro finisce qua ma è sempre sbagliato mettere veti”.
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