“Com’è bastato per la finea mille eroi del cine nel finale in dissolvenza…”

Mario Biondi e Fabrizio Casalino (absit iniuria verbis!) così chiudono uno struggente cammeo del 2011, disegnando un’immagine che offre la –molto meno romantica- idea di come la “premiata ditta Bonafede & PD” abbiano, con una progressione implacabile, un vero dolo di proposito, segnato la fine del processo penale di matrice costituzionale. Dopo avere coniato il “fine processo mai”, avere creato le pene accessorie eterne, sguinzagliato il trojan a caccia della riservatezza di chiunque, l’ineffabile Ministro dal sorriso facile si produce in una performance da Guinness dei Primati, (nel senso di chi ne fa di più di altri) : con un colpo di bacchetta …tragica smaterializza il processo.

Oplà: scomparse le aule, i banchi dei Giudici, l’arrivo del PM , la rabbia della difesa, il brusio rassicurante del pubblico.
Il processo vola nell’etere, si ferma, un po’ sì un po’ no, su uno smartphone, gestito da un padrone delle parole che decide se e quando aprire il tuo microfono: il tutto in perfetto silenzio di diritti e coscienze.
Perché, sia chiaro, cardini come la oralità, il contraddittorio, la pubblicità sono figli legittimi, gemelli siamesi, del controllo fisico della giurisdizione.

Orwell gioisce, risvegliato dalla realizzazione a tradimento (di notte accadono le cose più turpi, anche al Senato) del sogno grilllino : dio ( minuscolo) è nella rete, e non devi averne altri, in cielo e in terra. La comunicazione fasulla e autoreferenziale di Giuseppe Conte, sparata per non farne comprendere i reali non-contenuti, si accompagna a questo strisciante, insidioso assalto ai princìpi che reggono la democrazia. Bonafede ne è l’alfiere. Le torri, i cavalli e i pedoni cercateli nel Pd.