C’è un dato difficilmente confutabile: il ministro della Giustizia ha conseguito a pieno i suoi obiettivi: prescrizione (il lodo Conte è ibernato), intercettazioni (la disciplina è stata addirittura aggravata nel passaggio parlamentare), legge delega di riforma del processo penale sono stati approvati. I velleitarismi sono stati respinti con perdite. La tecnica ministeriale: niente tavoli preventivi, prima si approva, poi si discute, è risultata vincente. Il dato consente una valutazione dei tre passaggi [ai quali può aggiungersi in senso più ampio la legge numero 3 del 2019 (anticorruzione)] attraverso i quali si è articolata – nel senso della involuzione e delle controriforme – l’azione di politica criminale.

Il primo punto è il rafforzamento dei mezzi di indagine a disposizione dell’accusa: trojan, azioni sotto copertura, whistleblowing. Il secondo punto è l’inasprimento sanzionatorio, sia penale, sia esecutivo-penitenziario, con le conseguenti ricadute processuali (sulle indagini preliminari e sulle misure cautelari). Il terzo punto è teso a convogliare ulteriormente le opzioni processuali della difesa verso i riti a contenuto premiale (patteggiamenti extralarge; decreti penali di condanna con ulteriori sconti di pena; estinzione del reato a seguito di adempimenti di prescrizioni, di indennizzi, di lavori socialmente utili; di collaborazioni e restituzioni), peraltro con esclusione per i reati più gravi (abbreviati punti con l’ergastolo e patteggiamenti dove si incrementano le preclusioni). Il quarto punto evidenzia un aggravamento degli adempimenti della difesa sia in relazione alle notificazioni (elezione di domicilio), sia con riferimento ai giudizi di impugnazione (nuovo mandato), sia per quanto attiene al dovere di farsi carico delle sollecitazioni agli adempimenti cui gli altri soggetti vi sarebbero tenuti (richiesta di definizione del procedimento e del processo; verifica della regolarità della tardività delle iscrizioni).

Il quinto punto è costituito da un malinteso senso efficientista che compromette precise garanzie fondamentali: la collegialità esclusa nel giudizio d’appello del rito monocratico; l’immediatezza nel caso della diversa composizione del collegio; la professionalità con il ricorso a giudici onorari per delicate funzioni decisorie. Il sesto punto evidenzia un irrealistico affermato contingentamento dei tempi processuali evidenziato dall’allungamento di quelli del procedimento per decreto, dall’inserimento di una inedita udienza in limine al rito monocratico, dal permanere di tempi morti nella fase delle decisioni delle indagini preliminari. Non mancano, tuttavia, alcune previsioni che possono essere condivise e altre sulle quali sarà necessario verificare la pratica attuazione. Tra queste ultime si segnalano: la relazione illustrativa delle parti sulla richiesta di prove, se l’accusa eviterà, come in passato di anticipare i contenuti degli atti processuali di cui al fascicolo; la rinuncia alla propria prova ammessa senza consenso delle altre parti.

Tra gli aspetti favorevoli vanno segnalati, oltre all’informatizzazione di alcune attività processuali, fra gli altri, il deposito di consulenze tecniche e perizie in tempi congrui rispetto all’udienza fissata per l’esame; la celebrazione a richiesta della difesa dell’appello nella forma del rito camerale non partecipato; l’inappellabilità della sentenza di proscioglimento a pena pecuniaria; la predisposizione del calendario delle udienze destinate all’assunzione delle prove. Un discorso a parte va sviluppato con riferimento alle nuove regole di giudizio introdotte dalla riforma.
Se possono essere condivise quelle poste a fondamento dell’archiviazione e della sentenza di non luogo, ispirate da una logica diagnostica e non più meramente prognostica, ancorché indirettamente tese a suggerire l’accesso ai riti premiali, perplessità solleva il mantenuto criterio di economia processuale che affianca quello della necessità delle prove per ammissione al rito abbreviato condizionato.

In termini generali, non può non segnalarsi l’accentuarsi della cosiddetta amministrativizzazione del processo penale, tra direttive, intese, protocolli, progetti organizzativi, criteri di priorità, con interferenze anche di organi estranei alla giurisdizione e comunque con possibili significative differenziazioni territoriali, oggettive e soggettive. La scommessa della ipotizzata riforma è riposta, tuttavia, nel rispetto delle scansioni temporali da parte dei pubblici ministeri nella fase delle indagini e dei giudici nella fase processuale, che a differenza dall’essere sanzionata con sanzioni disciplinari, richiederebbe incisive sanzioni processuali.