L'appello
Bonafede invita penalisti al tavolo di lavoro: “Ci saremo ma senza sconti”

L’Unione delle Camere Penali Italiane risponderà all’invito del Ministro della Giustizia, e siederà dunque al tavolo convocato per il prossimo 26 febbraio. Noi pensiamo che possano sempre esistere ottime ragioni per alzarsi da un tavolo di confronto e di discussione ed andare via, mentre è difficile individuarne una sufficientemente seria per rifiutare addirittura di sedervisi.
Sentiamo innanzitutto cosa avrà da dirci il Ministro Bonafede. Noi, per di più, abbiamo molte cose da chiedergli, a cominciare da una semplicissima domanda: chi e perché ha inteso manomettere, del tutto stravolgendolo, il faticoso lavoro che, a quello stesso tavolo, aveva portato l’Anm, l’Ucpi, l’avvocatura istituzionale e l’Ufficio Legislativo del Ministero di Giustizia a costruire proposte condivise. Un bene prezioso, di questi tempi, che qualcuno ha voluto irresponsabilmente dissipare. Vogliamo sapere chi, vogliamo sapere perché.
Quell’accordo era stato costruito intorno alla individuazione delle tre aree su cui si riteneva indispensabile intervenire per raggiungere l’obiettivo della riduzione dei tempi del processo penale: potenziamento dei riti alternativi, recupero della funzione di filtro della udienza preliminare, una forte depenalizzazione. Meno dibattimenti, insomma, aumentando drasticamente gli incentivi per la soluzione negoziale del processo, ma con l’intesa di non mettere mano né alle regole della prova, né a quelle delle impugnazioni. Meno dibattimenti, ma a garanzie difensive immutate.
Ogni rappresentanza era giunta al tavolo con proprie proposte, molte delle quali di segno opposto e tra loro inconciliabili: l’Avvocatura propugnando interventi per la certezza del tempo delle indagini, il controllo di giurisdizione sull’iscrizione nel registro indagati; Anm, con un proprio documento del novembre 2018, mai rinnegato, con proposte quali abolizione del divieto di reformatio in peius, estensione della lettura dibattimentale di atti di indagine, per dirne un paio delle più eclatanti. Tutti però convergemmo sulla idea che solo valorizzando le proposte condivise avremmo fatto cosa utile per incidere sui tempi dei processi. Diverse bozze in questi mesi sono state fatte circolare, la prima addirittura approvata salvo intese dal Consiglio dei Ministri presieduto dal Conte I. Allora, la indisponibilità della Lega aveva impedito qualsiasi rilancio dei riti premiali. Alcune altre bozze si occupavano tra l’altro di sorteggi per l’elezione del CSM e di ordinamento giudiziario. Tutte cose mai discusse al tavolo, ma delle quali il Ministro, in più occasioni, ha avuto modo di ascoltare l’Associazione dei Magistrati.
La versione del ddl approvata in Consiglio dei Ministri ha inteso demolire scientificamente i faticosi approdi di quel tavolo. Ampliamento indecente delle letture dibattimentali, appello monocratico esteso a tutto il catalogo dei reati di cui all’art. 550 cpp, notifiche tramite difensore anche per l’avvocato d’ufficio. Si aggiunge, per i giudizi a citazione diretta, una sorta di pre-udienza preliminare per celebrare la quale il Giudice dovrà conoscere il fascicolo delle indagini, perdendo del tutto la sua verginità cognitiva indispensabile per la prova in contraddittorio. Ulteriore rafforzamento normativo della sostanziale discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale affidato, senza alcuna responsabilità, agli uffici di Procura.
Demolizione del potenziamento dei riti alternativi, con abbassamento degli anni patteggiabili, innalzamento delle preclusioni soggettive ed oggettive, dissennata reintroduzione dell’esiziale principio di economicità che ha già ucciso il rito abbreviato condizionato nella culla, tentativo di depotenziare il processo di appello; e molto altro. A chi dobbiamo questo scientifico sabotaggio? Quali ragioni hanno condotto il Ministro ad abbandonare quel percorso virtuoso così faticosamente ricostruito? È farina del sacco della nuova maggioranza, dunque del Partito Democratico? È invece bastata la flebile prospettazione di improbabili sanzioni disciplinari per indurre Anm a sottrarsi ad ogni possibile confronto e responsabilità su temi di questa complessità e rilevanza sociale. Ad ognuno le sue priorità.
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