L'analisi
Processo a distanza, rischioso se si estende oltre l’emergenza
Della inadeguatezza del ministro di Giustizia si è già detto su queste pagine ma vale la pena tornarci sopra. Basta un esempio. Probabilmente cedendo alle istanze di qualche settore dell’amministrazione, l’unica cosa che non è stata permessa o regolata per legge è la presentazione degli atti di impugnazione nel settore penale tramite pec. Tutto il resto si può fare ma un appello o un ricorso per cassazione no. Nella Repubblica del fai da te molti capi degli uffici giudiziari si sono organizzati e hanno fatto circolari o decreti che permettono comunque agli avvocati di impugnare via pec. Ora, al di là del fatto che questo ha prodotto una situazione caotica, per la quale si registrano differenze di trattamento persino all’interno delle stesse sedi giudiziarie, rimane un problema di fondo: le circolari non hanno valore di legge, anche se forse Bonafede non lo sa, e dunque quegli atti di impugnazione sono, per legge, inammissibili. Siamo, cioè, nel pieno della illegalità processuale.
E tanto basta a rispondere alle anime pie che si incontrano anche all’interno dell’avvocatura, che sostengono che nessuno, in futuro, rileverà quella illegalità, giacché frutto di autorizzazioni presidenziali. Beati loro: la magistratura ci ha abituato, anche in tema di impugnazioni, a conversioni repentine della giurisprudenza, persino sul metodo di calcolo dei termini processuali, per le quali da un giorno all’altro quel che era certo veniva ribaltato con l’effetto di rendere inammissibile quel che era permesso fino al giorno prima. Nel dubbio meglio non fidarsi e seguire le regole del codice. Ma poi rimane la domanda di fondo, perché non si è autorizzato nel penale quello che invece si è autorizzato nel civile? Forse anche per perseguire, per altra via, l’obiettivo di disincentivare le impugnazioni che è la vera e propria fissazione di alcuni dei ventriloqui del ministro sparsi nella magistratura? E ancora, tutto questo non alimenta quella delega implicita alla magistratura a fare “leggi self made”, prima attraverso la giurisprudenza ora attraverso atti amministrativi? Su questo problema, che pure è stato pubblicamente segnalato, il ministro resta in silenzio, forse perché è troppo complesso e, per dirla con Giuseppe Giusti, “il suo cervel, Dio lo riposi, in tutt’altre faccende affaccendato, a questa roba è morto e sotterrato”.
Ma c’è un altro silenzio che pesa come un macigno, ed è quello sulla detenzione. Dopo la farsa sui braccialetti elettronici ritenuti indispensabili – anche se materialmente non ci sono – per scontare pene non superiori a diciotto mesi, che ha prodotto l’ennesima giurisprudenza creativa, anche se stavolta in favore, di una parte della magistratura di sorveglianza evidentemente schifata dalla ipocrisia della previsione, la giustizia governativa nulla ha previsto per la custodia cautelare. Hai voglia a rammentare (in maniera anche un po’ tartufesca, sia detto per inciso, visto l’andazzo che va avanti da decenni) persino da parte di potenti Procuratori che la custodia cautelare in carcere dovrebbe essere realmente residuale, cioè eccezionale sul serio come nel sistema processuale è scritto.
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