La Regione alle prese con le conseguenze dell'alluvione
La Romagna senza i soldi del Governo
A 75 giorni dalla drammatica alluvione che ha colpito la Romagna (oltre che parte della Toscana e delle Marche), il territorio continua a soffrire in attesa che la politica, oltre alle polemiche tra i partiti ed i loro esponenti, dia delle risposte.

In Romagna non è un’estate come le altre. In Riviera i numeri sono in flessione, le presenze (e non solo) straniere risultano in calo. Nei campi, dove in questa stagione solitamente si raccoglie molta parte della frutta italiana, molti agricoltori sono costretti a guardare marcire i prodotti: le piene dei fiumi e dei canali hanno depositato sulla terra una spessa coltre di detriti, fango e materiale vario (gli esperti lo chiamano “limo”) che impedisce a qualsiasi cosa di crescere. E sarà così per qualche anno. In tanti devono ancora rimuovere quello strato, divenuto solido come pietra, perché ancora non si sa – tra l’altro – esattamente dove andrebbe depositato. Nelle città, nei quartieri travolti dalla furia devastatrice dell’acqua, la situazione è ancora molto precaria. C’è chi non ha potuto ancora rimettere piede in casa, chi vive ospite di amici o parenti o addirittura in roulotte: e di soldi per ripartire non se ne vedono, salvo i 3mila euro messi a disposizione dalla Regione e gli aiuti che arrivano dalla generosità dei privati e del volontariato.
A 75 giorni dalla drammatica alluvione che ha colpito la Romagna (oltre che parte della Toscana e delle Marche), il territorio continua a soffrire in attesa che la politica, oltre alle polemiche tra i partiti ed i loro esponenti, dia delle risposte. Al momento in cui scriviamo non è ancora uscito in Gazzetta ufficiale la legge di conversione del decreto legge esaminato dal Parlamento (che ha usato tutti i due mesi che la Costituzione mette a disposizione per la conversione dei decreti, come se fosse qualcosa di ordinario) e anche lo stesso Commissario straordinario, il generale Francesco Paolo Figliuolo, si muove senza tutti i poteri di cui potrebbe disporre, nonostante proprio lunedì abbia formalizzato la nomina dei sub-commissari. Sono Stefano Bonaccini, Eugenio Giani e Francesco Acquaroli, presidenti di Emilia Romagna, Toscana e Marche, come ampiamente previsto e logico.
Ma servono i denari e al momento, di quelli, non c’è traccia. “Noi pretendiamo che il governo metta le risorse come ha promesso. In questo momento non c’è un euro di rimborso ai privati. Nel decreto non è nemmeno prevista la proroga della sospensione dei mutui e degli adempimenti fiscali”, ha denunciato il presidente Bonaccini dai microfoni de “L’Aria che Tira” su La7. Poi, rimettendosi la giacca istituzionale, ha garantito: “Voglio aver fiducia nel governo e lavorerò col generale Figliuolo. Ci batteremo per i rimborsi. Ogni euro dato alla Romagna tornerà indietro con gli interessi”. Singolare ed emblematico che nessuno dalle fila del centrodestra gli abbia ribattuto; forse perché ancora risuona, nelle orecchie dei romagnoli, la promessa fatta dalla premier Meloni di ristori al 100% del danno subito.
Al momento, però, il contatore è ancora fermo sullo zero e i Comuni si muovono da soli, in ordine sparso. Ad esempio a Ravenna il sindaco Michele De Pascale ha aperto lunedì i termini per la presentazione delle richieste di contributo per i cittadini colpiti dall’alluvione attingendo dal fondo formato dalle donazioni raccolte dal solo Comune: oltre sette milioni di euro. I criteri per accedere alle risorse (la questione più spinosa) sono stati definiti a seguito di un confronto con Cgil, Cisl e Uil. Viene chiesto ai cittadini, in autocertificazione e senza la necessità di una perizia preventiva, di dichiarare la propria situazione collocandola in una delle quattro fasce di danno: meno di 5mila euro, fra i 5mila e i 25mila, fra i 25mila e i 50mila, sopra i 50mila.
A pochi chilometri di distanza, a Forlì, l’orientamento annunciato dall’Amministrazione comunale è stato quello di destinare le donazioni messe insieme (circa 1 milione e 100mila euro) all’abbattimento dei tassi di interesse applicati dalle banche sui mutui che i cittadini colpiti decideranno di contrarre per far fronte alle spese. Una scelta che ha acceso un’aspra polemica tra gli alluvionati, cavalcata dai partiti di opposizione. Il sindaco, Gian Luca Zattini, ha deciso di fare una parziale retromarcia e rimettere la decisione definitiva alla prima riunione della neonata ‘Commissione comunale d’inchiesta comunale sull’alluvione’.
Ancora differenti le modalità scelte a Cesena e Faenza. Mentre nel Bolognese si alza sempre più forte la voce dei Comuni colpiti dall’alluvione, ma esclusi dagli interventi del decreto legge del Governo: una mancanza che nemmeno le due letture parlamentari hanno sanato. Insomma, la confusione regna sovrana. E mentre l’emergenza continua per chi ha subito i danni del disastro di maggio (aggravati dai violentissimi temporali di fine luglio), manca completamente dal dibattito un ragionamento sulla prospettiva futura che si vuole dare a queste zone e più in generale a un Paese, l’Italia, fragile e fortemente esposto ai cambiamenti climatici. Il Governo evoca un “grande piano” per mettere in sicurezza l’Italia, ma c’è già e si trova nei cassetti di Palazzo Chigi: è il progetto “Italia Sicura”, smantellato dall’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte e mai più ripristinato.
Gli si cambi nome, ma non si può più rinviare. Anzi, siamo già in ritardo come fa notare Coldiretti evidenziando che solo nel secondo trimestre di quest’anno si sono contati 854 eventi estremi, fra grandinate, nubifragi e alluvioni. E come ci dicono dallo spazio i satelliti del Programma InCubed dell’Agenzia Spaziale Europea, le cui immagini mostrano che le conseguenze dell’alluvione – 75 giorni dopo – sono ancora in corso: nelle aree colpite non cresce la vegetazione. Cos’altro deve accadere per agire?
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