Giovanni Brusca è un uomo libero dopo 25 anni di carcere, trascorsi in carcere nonostante la decisione segnata da numerose polemiche di passare dalla parte dello Stato avvenuta pochi mesi dopo l’arresto. L’ex killer della mafia ha lasciato nel pomeriggio di lunedì 31 maggio il carcere di Rebibbia a Roma. A riportare la notizia è “L’Espresso“. Brusca, 64 anni, in passato capo del mandamento di San Giuseppe Jato e soprannominato in lingua siciliana ‘u verru (il porco), oppure lo scannacristiani per la sua ferocia, è colui che il 23 maggio 1992 azionò il telecomando della strage di Capaci dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Il fine pena è arrivato con un anticipo di 45 giorni deciso dal tribunale di sorveglianza di Roma e recepito dai giudici di Milano. Brusca, inserito nel programma di protezione, resta sottoposto a quattro anni di libertà vigilata e continuerà a vivere sotto protezione.

Una notizia che ha scatenato polemiche a 360 gradi (in ambito politico soprattutto da parte dei populisti Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle) ma che non rappresenta altro che l’applicazione della legge per chi decide di collaborare con la giustizia. Nel corso della sua lunga detenzione, Brusca ha usufruito di oltre 80 permessi premio e, a differenza di altri pentiti, ha scontato l’intera pena in carcere. Il 19 ottobre 2019 la Cassazione bocciò la richiesta dei legali del killer di Giovanni Falcone di scarcerazione e di passaggio agli arresti domiciliari.

Brusca durante la sua lunga esperienza in Cosa Nostra è stato uno dei principali killer di Totò Riina. Poi una volta passato a collaborare con la giustizia ha svelato ai magistrati segreti e retroscena della cupola di Corleone, portando a galla anche i rapporti che la mafia aveva con il mondo politico e imprenditoriale.

L’arresto dopo “meno di duecento omicidi”…

Brusca venne arrestato il 20 maggio del 1996 in una villetta vicino Agrigento dove si era rifugiato con il fratello dopo anni di latitanza. Figlio di Bernardo Brusca, capo del mandamento di San Giuseppe Jato, dopo la sua morte ne ereditò il comando e il prestigio mafioso.Per la fredda ferocia il suo delitto più terribile rimane quello del piccolo Di Matteo. “Allibertativi du cagnuleddu” (liberatevi del cagnolino), ordinò Brusca. Suo fratello Enzo Salvatore lo teneva per le braccia, Giuseppe Monticciolo per le gambe, Vincenzo Chiodo lo strangolò. Poi venne sciolto nell’acido. Fu uno dei tanti omicidi commessi e ordinati dal boss di San Giuseppe Jato che grazie al suo pentimento ha evitato l’ergastolo e ha scontato una condanna a trent’anni. Tale era il distacco nel commettere i più feroci delitti che quando gli chiesero quante persone avesse ammazzato, rispose “Meno di duecento, il numero preciso non lo ricordo“.

Il finto pentimento e l’inizio della vera collaborazione

Un mese dopo l’arresto (avvenuto nel gennaio del 1996), Brusca iniziò a rendere dichiarazioni ai magistrati delle Procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze ma dopo poco, messo allo strette, confessò di aver ideato tutto per screditare le cosche rivali. Poi nel 1997 iniziò a rendere nuovi interrogatori, questa volta ritenuti attendibili, grazie ai quali fu possibile condannare decine di mafiosi in diversi procedimenti penali, dove anch’egli era imputato ed in cui ottenne rilevanti sconti di pena grazie al suo contributo: nel 1997 infatti evitò l’ergastolo al processo per la strage di Capaci ed ebbe ventisette anni di carcere e la stessa cosa avvenne nel 1999, quando gli furono comminati trent’anni di reclusione per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo.

Nel 2000 gli venne riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia.

Nei numerosi interrogatori sostenuti, Brusca ha ammesso la sua partecipazione a numerosi delitti eccellenti e all’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne del pentito Mario Santo Di Matteo strangolato e sciolto nell’acido per vendetta nei confronti del padre che aveva parlato con i magistrati.

La sorella di Falcone: “Questa è la legge”

“Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno”. Queste le parole di Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone, dopo la notizia della scarcerazione per fine pena di Giovanni Brusca.

 

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.