Un anno fa aveva denunciato l’esistenza di almeno 400 magistrati corrotti. Oggi lascia intendere che anche tra i giudici che puntualmente demoliscono le sue inchieste, chissà, potrebbe anche esserci qualcuno che ha motivi “particolari” per le proprie decisioni. A meno che il procuratore Nicola Gratteri, quando parla con Giovanni Bianconi del Corriere della Sera non intenda altro. Ma la frase: «…Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni», che cosa può voler dire? Magari che qualche “pentito”, lo incalza il consumato giornalista, ha parlato di giudici coinvolti? «Su questo ovviamente non posso rispondere». Ora, poiché anche il più giovane tra i cronisti giudiziari sa che questa, da parte di qualunque magistrato, è semplicemente una risposta di conferma (diversamente basterebbe smentire), sarebbe ora che il procuratore più famoso d’Italia fosse incalzato a dare qualche spiegazione.

Va bene passare da un blitz all’altro, se sei il capo degli inquisitori di Calabria, perché non puoi essere uno che se ne sta con le mani in mano. Ma se regolarmente la base della tua costante ipotesi accusatoria – e cioè che la ‘ndrangheta ormai non esista più, perché si sarebbe trasformata in un’ associazione affaristica, composta, oltre che di quattro pastori dell’Aspromonte, di imprenditori, avvocati, commercialisti, notai e politici – viene demolita dai tuoi giudici, il problema c’è. E se tu allora insinui sospetti sul mondo giudiziario intero («il 6-7% è fatto di corrotti») e poi alludi a quei giudici che buttano giù pezzetto dopo pezzetto le tue inchieste, dicendo che «la storia spiegherà», non sarà il caso che qualcuno ti chieda conto delle tue affermazioni? Non dico il procuratore di Salerno, competente a indagare, ma anche a tutelare i magistrati di Catanzaro, ma magari il Csm, per chiedere conto o magari anche per aprire una pratica a tutela del procuratore Gratteri. Perché se è a conoscenza di qualche notizia di reato sarebbe suo dovere comunicarla. E altrettanto dovrebbe fare se si ritiene vittima di qualche collega che si è venduto alle cosche.

Anche perché ci sono situazioni che non sono ancora state ben chiarite. Prima di tutto la vicenda che ha visto aprirsi un violento conflitto con il dottor Otello Lupacchini, ex procuratore generale di Catanzaro, e che ancora non si è conclusa, benché lui abbia già subito da parte del Csm un provvedimento cautelare di trasferimento a Torino. Nel 2018, il pg aveva presentato diversi esposti in cui denunciava proprio lo “strano” comportamento del dottor Gratteri nei confronti di colleghi che lui indagava trattenendo però l’inchiesta presso di sé invece di delegarla immediatamente, come dovuto, ai colleghi di Salerno. Non solo delle segnalazioni del procuratore Lupacchini il Csm non aveva tenuto conto, ma nello scontro tra i due procuratori di Calabria, quello uscito vincente, per lo meno nel primo round, con il trasferimento dell’altro, era stato proprio Gratteri.

La cosa era tanto più assurda in quanto, proprio nello stesso periodo, l’opinione di diversi magistrati, tra cui almeno due componenti dello stesso Csm che poi trasferirà il dottor Lupacchini, era molto pungente, a tratti irridente, nei confronti di Nicola Gratteri. Lo si verrà però a sapere soltanto due anni dopo, cioè quando verrà portato a superficie il pozzo di San Patrizio delle chat del magistrato Luca Palamara. È il 25 luglio del 2018 il giorno in cui il procuratore Lupacchini fa la sua deposizione al Csm. Ma è il 12 aprile dello stesso anno il giorno in cui Luca Palamara, chattando su whatsapp con il collega Massimo Forciniti, come lui membro del Csm. I due commentano proprio le battute del dottor Gratteri su alcuni colleghi, ritenuti non degni di indossare la toga di magistrato. È in quell’occasione che Palamara dice «Gratteri è matto, va fermato». Ma non è tutto. Dalle chat emerge anche, sempre negli stessi giorni e sempre con riferimento alle interviste in cui il procuratore di Catanzaro alludeva ai magistrati corrotti, uno scambio di battute irridenti tra Luca Palamara e il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri. Sulle battute di Nicola Gratteri il giudizio è «le solite cazzate», «sta diventando patetico». Due mesi dopo, non Gratteri ma Lupacchini veniva trasferito.

E oggi tutti tacciono. Se qualcuno esprime preoccupazione per certi comportamenti, è solo in ambiente politico, e solo a causa dell’inchiesta che si è abbattuta sull’incolpevole segretario dell’Udc, l’ormai dimissionario Lorenzo Cesa. E solo perché i tempi scelti per il blitz dell’inchiesta “Basso profilo” hanno disturbato il manovratore del governo, il presidente del consiglio Giuseppe Conte che forse contava anche sui tre senatori di quel partito per ritrovare la maggioranza perduta dopo l’uscita di Italia Viva di Matteo Renzi.

Eppure, è lungo l’elenco dei flop delle tante inchieste avviate dal procuratore Gratteri, sempre con lo stesso copione: il blitz con allegata conferenza stampa e con il nome famoso del politico che vede sfumare la sua carriera, non può candidarsi, viene abbandonato dal suo partito e infine viene assolto. Eppure non molti giorni fa, in un’udienza del processo “Rinascita Scott”, il fiore all’occhiello di tutte le inchieste di Calabria, quello con trecento imputati e l’aula-bunker e l’ambizione di far concorrenza al maxi-processo di Falcone a Cosa Nostra, il dottor Gratteri si è permesso di tacitare la presidente del tribunale Tiziana Macrì dicendole «stai zitta, ora finisco di parlare io». In circostanze analoghe, e proprio in Calabria, quando un imputato si era permesso di usare la stessa frase nei confronti di un’altra toga, erano stati mandati subito gli atti alla procura della repubblica ed era stato aperto un fascicolo. Il fatto è ancora più grave se si ricorda che la presidente Macrì (che ha dovuto poi astenersi dal processo per una questione formale controversa) è la stessa che aveva ucciso con una sentenza gran parte dell’inchiesta “Nemea”, altro fiorellino all’occhiello del procuratore di Catanzaro. Certo, se le fosse stato consentito di continuare a presiedere il processo “Rinascita Scott”, sarebbe stata equa e inflessibile come, a quanto dicono coloro che la conoscono, è sempre stata. E sarebbe stato difficile poterle dire ogni giorno di stare zitta.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.