Il 6 luglio il consiglio regionale del Lazio ha celebrato i 50 anni dal suo primo insediamento. Nel suo intervento Nicola Zingaretti, incurante del sondaggio del Sole 24 Ore che lo dà ultimo tra i Presidenti di Regione nel gradimento degli elettori, ha voluto raccontare di un territorio profondamente trasformata in questi 50 anni lasciando intendere che ciò è avvenuto grazie al ruolo dell’ente Regione. Ha esaltato uno straordinario lavoro di uomini e donne al servizio dello sviluppo. Ovviamente ha dimenticato di parlare del dramma dei rifiuti, del blocco decennale delle infrastrutture, della Sanità commissariata da 11 anni, del disastro di Roma Capitale, della fuga di investitori, del dramma del turismo. Insomma abbiamo sentito tanta retorica ma veramente poca consapevolezza della drammatica inefficienza delle amministrazioni pubbliche e di quanto questa generi scarsa crescita, disoccupazione e povertà.

La situazione sociale ed economica nella quale versa il Paese non consente celebrazioni retoriche. Siamo stati travolti dalla pandemia in un momento di massima debolezza economica, politica e istituzionale. Il rischio che all’enorme indebitamento al quale siamo costretti ad accedere (scaricando un immenso fardello sui nostri giovani) non corrisponda un’adeguata capacità di frenare il crollo del Pil e rilanciare una crescita vigorosa è molto elevato. Ne può conseguire uno scenario drammatico in termini di sostenibilità del nostro debito pubblico e di tutela del risparmio degli italiani. Oggi è necessario ricostruire il Paese su basi completamente nuove. Si tratta di un enorme lavoro di ridefinizione di regole e comportamenti. Per fare questo è necessario guardare senza ipocrisie ai limiti del nostro ordinamento, alla gravissima inefficienza del nostro apparato pubblico, all’enorme squilibrio sociale che esso comporta. La frammentazione regionale non ha portato quell’efficienza e quella valorizzazione del territorio che i padri costituenti immaginavano.

Nelle pandemia, una malintesa autonomia regionale vede nei ventun sistemi sanitari, diversi modelli organizzativi, differenti politiche di sorveglianza attiva, banche dati non interoperabili, incredibile competizione politica dei presidenti di Regione tra di loro e verso il Governo. Il divario tra le diverse aree del Paese è aumentato e soprattutto è venuto meno il legame indissolubile dei valori costituzionali dell’autonomia e della responsabilità. All’autonomia non è corrisposta un’adeguato livello di responsabilità, innanzitutto fiscale, nei livelli regionali di Governo. La riforma del Titolo V della Costituzione, che ha modificato in modo profondo il rapporto tra Stato centrale e Regioni, non è avvenuta a seguito di un maturo e consapevole processo di evoluzione del nostro ordinamento, ma esclusivamente a causa di un maldestro e fallito tentativo da parte della sinistra di assorbire le tensioni autonomistiche provenienti dal Nord. Ne è uscito un quadro di enorme confusione istituzionale e di conflitto tra diversi livelli del governo del Paese che non ha precedenti nella storia delle grandi democrazie europee.

Oggi è il momento di guardare in faccia alla realtà, innanzitutto partendo dai consigli regionali e dalla loro funzione legislativa. In un Paese che soffre per un’enorme e confusa produzione legislativa, 20 consigli regionali che operano in ambiti spesso sovrapposti e concorrenti con lo Stato generano ulteriore incertezza, disorientamento e confusione. Decine di leggi che inseguono qualunque esigenza, cercano di normare qualunque patologia, regolano qualunque inutile dettaglio. Spesso norme manifesto utili solo al posizionamento politico di questo o quel gruppo. Abbiamo bisogno di una nuova cultura del risultato. Il punto di arrivo non è approvare una legge o il bilancio. Quello è un punto di partenza. Da li è obbligatorio guardare agli effetti sulle nostre comunità di quella legge, di quel bilancio.

È questa la funzione di controllo che i consigli regionali dovrebbero svolgere. A chi paga le tasse non interessa quante leggi ha approvato il Consiglio Regionale: interessa se l’azione politica ha prodotto sviluppo civile, sociale ed economico. Le Regioni sono diventate dei percettori di finanziamenti statali a pie’ di lista. Viene meno così quel sano rapporto tra autorità fiscale e erogatore di servizi che consente, al momento del voto, una valutazione consapevole di chi ha governato. Diamo piena autonomia fiscale, alleggeriamo le ipertrofiche funzioni regionali, semplifichiamo e riduciamo le norme, trasferiamo competenze ai Comuni, guardiamo ai risultati.