L'intervista
Clemente Mastella: “Più poteri ai sindaci, decisioni dalla politica non dai tecnici”
“Il ponte di Genova è stato ricostruito da un commissario. Se lo Stato intende velocizzare la realizzazione delle opere pubbliche, soprattutto in una fase di crisi come quella attuale, abbatta la burocrazia e attribuisca anche ai sindaci poteri commissariali”: eccola, la ricetta di Clemente Mastella per tirare la Campania e l’Italia fuori dal pantano in cui il Coronavirus le ha trascinate. L’ex ministro, oggi primo cittadino di Benevento, traccia l’identikit degli amministratori pubblici chiamati ad affrontare la crisi: dotati di una visione strategica come Alcide De Gasperi, determinati come il governatore De Luca, non subordinati ai tecnici come invece appare il premier Conte, lontani anni luce dalla demagogia del sindaco de Magistris.
Come deve cambiare il ruolo dell’amministratore pubblico in tempi di crisi?
“Gli amministratori pubblici si muovono nel ristretto perimetro che è loro assegnato. L’ultimo decreto del presidente del Consiglio, per esempio, attribuisce ai sindaci il potere di chiudere i parchi in caso di assembramenti. Invece servono poteri più ampi in materia di sanità, visto che il sindaco è il primo garante della salute pubblica nel suo territorio, e di opere pubbliche, che dovrebbero poter essere realizzate più rapidamente. Più saggio sarebbe attribuire ai sindaci poteri commissariali, pur con tutte le necessarie garanzie dal punto di vista della trasparenza”.
Sia Conte che De Luca fanno continuo riferimento agli esperti in materia di sanità: d’ora in poi la politica sarà subordinata alla tecnica e condizionerà anche la selezione della classe dirigente?
“La Democrazia Cristiana utilizzava un tecnico come Guido Carli all’Economia, ma le altre cariche erano ricoperte da politici. Ecco, quella lezione mi sembra ancora valida. La tecnica è unilaterale, la politica universale. Ragion per cui occorre ascoltare i tecnici, ma è pur sempre la politica a dover trovare una sintesi e a decidere. Nel caso di Conte, invece, mi sembra che accada il contrario: i consiglieri decidono e il ‘principe’ si limita a comunicare quelle decisioni”.
Una scuola di alti studi politici potrebbe essere funzionale a una migliore selezione della classe dirigente locale e nazionale?
“È la strada che si segue in Francia, ma non è così che si fa la politica. De Gaulle e la Merkel non hanno mica frequentato simili scuole. E nemmeno De Gasperi che, tuttavia, seppe traghettare il Paese in una fase complessa come quella del dopoguerra. La politica è sinonimo di esperienza”.
Come valuta l’approccio di De Luca all’emergenza sanitaria?
“Al netto della sua grammatica meteoritica, De Luca ha dato prova si efficienza amministrativa. Si è mosso con capacità e determinazione, dimostrando ciò che un politico deve sapere fare: ascoltare, sintetizzare, decidere, dare risposte ai problemi dei cittadini. Se il virus non ha dilagato in Campania, dove ci sono aree con una densità abitativa prossima a quella di Hong Kong, il merito è anche suo”.
Diverso l’approccio del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che ha appena accollato allo Stato i debiti derivanti dalle gestioni commissariali che hanno interessato Napoli nel corso del tempo.
“Me lo lasci dire, quella delibera è una grande stronzata giuridica. De Magistris puntava alla regione, ma la pandemia ha rimescolato le carte. E mentre De Luca ha mostrato le sue doti ergendosi a ‘sindaco della Campania’, de Magistris è stato fagocitato. Certe sue trovate sono mosse disperate per garantirsi una forma di sopravvivenza politica”.
Ecco, ha parlato di Regioni: come si rimedia al tutti-contro-tutti sulla riapertura cui stiamo assistendo in questi giorni?
“Il problema del federalismo è scoppiato in Italia come negli Stati Uniti: è doveroso dare ascolto alle Regioni, ma è inaccettabile avere venti piccoli ‘regni’ che procedono in ordine sparso. Serve una riforma, bisogna modificare il titolo quinto della Costituzione”.
Il Parlamento lo farà?
“Temo che non sia in grado”.
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