Nel dare la linea alle sue avvocature social, Matteo Salvini si è lagnato dello strepito per l’elezione a presidente della Camera del leghista filo-putiniano Lorenzo Fontana: lo attaccano perché è un cattolico, ha detto il segretario della Lega. Non comprende Matteo Salvini, così come non comprende quel suo militante issato alla terza carica dello Stato, che non è in discussione nemmeno remotamente la loro appartenenza cattolica e neppure la loro convinzione che essa ispiri legittimamente i loro comizi, i loro propositi di riforma, le loro iniziative politiche.

Nulla di male, insomma (si fa per dire, ovviamente), se ritengono che sia lo spirito cattolico a informare l’annuncio dell’invio delle ruspe contro le zingaracce. Nulla di male (sempre per modo di dire) se si dichiarano affascinati dal “grande risveglio religioso cristiano” indotto dalle lungimiranti prestazioni di Vladimir Putin. Queste sono indecenze che risiedono su tutt’altro piano di responsabilità.

Ciò che invece li condanna istituzionalmente, e ciò di cui, appunto, per incommensurabile ignoranza, essi nemmeno si rendono conto, è che l’ostentazione di simboli religiosi nei luoghi della democrazia rappresentativa e nel dibattito politico, e l’uso strumentale di quell’appartenenza nella militanza elettorale, rappresentano un’usurpazione blasfema cui mai nessun serio politico cattolico si è nemmeno sognato di abbandonarsi. E, anzi, furono proprio i grandi esponenti democristiani a ripudiare anche la sola ipotesi che l’intendimento cattolico, da coltivare anche in modo intransigente per i cattolici e tra i cattolici, potesse mai pretendere di fare stato sullo Stato laico, immischiandovisi e per ciò stesso degradando a commercio secolare.

Impugnare il rosario per reclamare il respingimento dei migranti in nome di Gesù Cristo, invocare domineddio contro l’invasione delle patrie bianche e battezzate, affidarsi alla Beata Vergine per la vittoria nel collegio, insomma competere nell’arena di sangue e merda chiedendo consenso perché “Dio lo vuole”, significa non solo compromettere l’auspicabile equanimità laica dell’ordinamento in cui vale soltanto la legge uguale per tutti, senza valori fideistici che soverchiano quelli degli altri: significa anche lordare in modo inammissibile il diritto dei cristiani e dei cattolici – che, si immagina, non votano tutti a destra – di non veder contraffatto un insegnamento che necessariamente si snatura e svilisce quando promana da un pulpito parlamentare.

Sono così elementari, queste considerazioni, così banali e scontate, che il doverle fare descrive tragicamente qual è il vero problema di questi esponenti di destra: che sono ignoranti; che non sanno. E noi purtroppo non abbiamo sufficiente dotazione spirituale per chiedere che qualcuno li perdoni, perché non sanno quel che fanno.