Raffaele Cantone ha scoperto ieri chi è la fonte privilegiata del Corriere della Sera, di Repubblica e del Fatto: un funzionario amministrativo della sua cancelleria.
Con un tempismo encomiabile, il procuratore della Repubblica di Perugia ha dunque individuato la ‘talpa’, ora iscritta nel registro degli indagati per accesso abusivo a sistemi informatici e rivelazione del segreto, che ha passato ai tre giornali nei giorni scorsi gli atti riservati relativi all’archiviazione dell’indagine sulla Loggia Ungheria e che vede il coinvolgimento di Luca Palamara.

L’inchiesta non è stata particolarmente complessa in quanto solo i magistrati titolari del fascicolo, oltre allo stesso Cantone, i pm Gemma Miliani e Mario Formisano, e i rispettivi funzionari amministrativi di cancelleria, avevano la materiale disponibilità del fascicolo. Le ‘turbo indagini’, condotte dai carabinieri del reparto operativo di Perugia e dal compartimento di polizia postale dell’Umbria, hanno appurato che il funzionario della cancelleria di Cantone aveva effettuato numerosi accessi abusivi sul fascicolo informatico, scaricando quindi senza autorizzazione gli atti fra cui anche la richiesta di archiviazione. All’indomani della fuga di notizie, Cantone aveva dichiarato che si trattava di “un fatto gravissimo” in quanto la richiesta di archiviazione era stata inviata al gip ma non ad altri uffici, quali la Procura di Milano o quella generale della Cassazione. Il fascicolo, poi, non sarebbe stato in possesso nemmeno del Gico della guardia di finanza che aveva condotto le indagini.

“La Procura di Perugia – aveva sottolineato Cantone – è parte offesa in questa fuga di notizie. Non abbiamo mai avuto alcun interesse a che il contenuto della richiesta di archiviazione, oggetto di un ampio comunicato stampa considerato l’interesse pubblico della vicenda, venisse pubblicato dai mezzi d’informazione. Faremo tutto il possibile per accertare da dove sia uscita”. Resta da capire adesso se il cancelliere abbia fatto tutto da solo, quindi passando egli stesso i documenti riservati ai giornalisti delle tre testate, oppure sia stato aiutato nell’attività di ‘postino’ da qualcuno. E, soprattutto, se sia stato remunerato. In questo caso si aggraverebbe la sua posizione e quella dei giornalisti, al momento non indagati, che verrebbero tutti iscritti per il reato di corruzione. Certamente è molto strano che un cancelliere abbia accettato il rischio di essere licenziato in caso fosse stato scoperto, come prevedono le nuove norme sul pubblico impiego, senza una adeguata contropartita ma solo per far scrivere ai tre giornalisti un pezzo su Palamara.

Sull’indagine lampo di Cantone è intervenuto ieri anche il diretto interessato, che già la scorsa settimana aveva presentato denuncia alla Procura della Repubblica di Firenze, al capo dell’Ispettorato del Ministero della giustizia, e al procuratore generale della Cassazione affinché facessero luce su quanto accaduto. “La Procura di Perugia – ha detto Palamara – da quasi due anni svolge indagini sugli stessi giornalisti che oggi come nel maggio del 2019 hanno divulgato atti segreti”. “Dopo i fatti dell’hotel Champagne, la pubblicazione servì a far dimettere i consiglieri del Csm di Unicost e di Magistratura indipendente, consentendo ad Area, la corrente di sinistra, di gestire il mercato delle nomine nella attuale consiliatura. Oggi la pubblicazione serve a mettere le stampelle alla traballante indagine sulla Loggia Ungheria che ha fatto figli e figliastri”, ha poi aggiunto Palamara, prima di domandarsi come mai le notizie arrivano “sempre agli stessi giornalisti e alle stesse testate? È stato il cancelliere o chi per lui spontaneamente a consegnargli queste carte o qualcuno gli ha chiesto di farlo? Come mai aveva il loro numero o gli ha fatto recapitare una pennetta?”.

Su questa vicenda ha preso posizione anche Enrico Costa, parlamentare di Azione. “Se c’è da un ufficio giudiziario una fuga di notizie – afferma Costa – è bene che ad indagare sia un altro ufficio giudiziario, anche se sono escluse da responsabilità dei magistrati, perché comunque è presumibilmente nell’ambito di quell’ufficio giudiziario che la fuga di notizie è partita, dunque è bene che a indagare sia un soggetto distinto e distante”. Anche perché, conclude Costa, “statisticamente le indagini sulle fughe di notizie fatte dallo stesso ufficio da cui è uscita la notizia non individuano quasi mai i responsabili”.