Sullo stato embrionale delle trattative fra russi e americani per chiudere la guerra in Ucraina circolano le ipotesi più fantasiose. Per ora sembra poco probabile quella sui colloqui fra il presidente russo Putin e quello americano Trump per arrivare alla pace in Ucraina. I due si parlano e sono in contatto da molti anni, e questo non fa notizia. Lo farebbe se ne emergessero contenuti evidenti. É importante però notare come vengano rapidamente ricalcate parole e frasi dei due leader, sempre in maniera informale e poi negata dalla controparte.

La propaganda del sentire comune – chiamiamolo così – filorusso ha compiuto uno dei suoi ultimi capolavori in occasione dell’intervista sull’“Air Force One” a Donald Trump fatta dal tabloid NY Post, del gruppo Murdoch, in cui il presidente americano allude con civetteria ai numerosi dialoghi che ha avuto con Putin (senza dire né il numero né quando sono avvenuti) che gli hanno dato l’impressione che per il presidente russo siano maturi i tempi per fermare la terribile e inutile perdita di vite umane.

Le smentite del Cremlino

Detto per inciso, anzi per dovere di cronaca, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov si è affrettato a negare che sia avvenuta qualsiasi telefonata. L’elegantissimo portavoce di Putin si deve essere certamente consultato con il suo capo prima di smentire, il che significa che Putin non ha intenzione di formalizzare nulla. Putin non ha chiamato nessuno, e se Trump vuole davvero iniziare alle danze della trattativa, le apra con le dovute forme. Ma i sentimenti che Trump attribuisce a Putin, come l’aver espresso dolore per l’inutile carneficina della guerra e la necessità di metter fine alla strage, sarebbe già una enorme notizia perché costituirebbe un capovolgimento dei valori dello stesso Vladimir Putin il quale, nei suoi sermoni che ogni giorno confluiscono su YouTube (dove ha anche aperto il canale “Impara il russo con Putin”), non ha mai accennato alla tragedia dei giovani russi che a migliaia muoiono ogni giorno e tantomeno parla di quelli ucraini che muoiono sulla loro terra contro l’invasore.

I troppi giovani andati al macello

Putin quando accenna ai sacrifici patriottici dei giovani, estasiati di correre e morire al fronte, usa formule virili e di militaresca deferenza alla memoria dei giovanissimi caduti che, secondo le valutazioni militari indipendenti, superano il milione fra morti e mutilati. Ma ecco che invece, sostiene Donald Trump, il gelido capo del Cremlino avrebbe confidato a lui la sua pena per i troppi giovani andati al macello, descrivendo questa pietas come primo motore della necessità di porre fine all’immane massacro. Delle due l’una: o Trump ha messo in bocca a Putin parole e concetti che non ha mai espresso prima, o nella sua fastosa teatralità se l’è inventato di sana pianta. Il che giustificherebbe la prudenza di Dmitrij Peskov. Perché accanirsi su un tale dettaglio? Perché quell’intervista è uscita certamente con tutti i bolli dell’autenticità e se ne deve dedurre che Trump ha scelto di attribuire a Putin una ragione etica per chiudere la guerra, una ragione di cui il presidente russo non ha mai dato segno.

Le ‘terre rare’ ucraine

La consapevolezza degli ucraini, e in particolare del loro Presidente Zelensky, che per il paese vittima di una invasione sia inevitabile rassegnarsi a cedere quote di territorio nel Donbass e degli oblast che Putin si è già annesso illegalmente (come aveva già fatto con la Crimea), è un altro elemento su cui si applicano specchi deformanti. Zelensky lo ha ammesso da tempo chiedendo in cambio garanzie di indipendenza dagli Stati Uniti. Trump ha più volte accennato a questa apertura, o consapevolezza, degli ucraini a salvare il salvabile e barattare con gli americani una garanzia di protezione, anche militare, pagandone il costo con la cessione delle “terre rare” di cui sono ricche (in particolare l’Ucraina e Taiwan). Le terre rare sono i minerali oggi indispensabili per la produzione elettronica di ultima generazione, e dunque indispensabili all’industria tecnologica, come quella di Elon Musk.

La questione ‘sfere di influenza’

Questa disponibilità a cedere territorio già conquistato ai russi, e terre rare agli americani, a tutela dalla sovranità ha spinto la tifoseria filorussa a due ondate di titoli: una “l’Ucraina riconosce le conquiste russe” e un’altra – attribuita direttamente a Trump che non l’ha mai formulata – “verrà un giorno in cui l’Ucraina non esisterà più e sarà tutta russa”. Non esiste una sola parola, non diciamo dichiarazione a sostegno di questa ineluttabile vittoria russa, anche perché Trump seguita a pronunciare frasi poco condiscendenti nei confronti di Putin: ha sbagliato tutto e gliel’avevo detto di non farlo, non sa governare, il rublo che ha va rotoli, hanno un’inflazione al dieci per cento e non hanno più risorse per questa guerra.

Ultimo argomento: sia Putin che Trump sanno che non è la linea del confine ucraino la posta in gioco, ma la pretesa “sfera di influenza” che Putin seguita a rivendicare con la stessa chiarezza di dieci anni fa. I territori ex sovietici o ex zaristi appartengono alla Russia per diritto storico, che è superiore al diritto internazionale. Ed è di questo che vuol parlare con Trump tenendo fuori dalla porta l’Europa, il dinosauro erbivoro come lo chiamano gli americani, se paragonato al confronto i veri carnivori russo e cinese.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.