Dal suprematismo bianco del ministro Lollobrigida al revisionismo storico del presidente del Senato La Russa, passando per la guerra alle Ong e ai migranti. Il “nuovo Pd” di fronte alla destra identitaria e “securista” al governo. La parola a Piefrancesco Majorino, già europarlamentare Dem, consigliere regionale in Lombardia e membro della segreteria nazionale del Partito democratico, con la responsabilità per le Politiche migratorie e Diritto alla casa.

Prima la “guerra alle Ong”, subito dopo la dichiarazione dello stato d’emergenza nazionale, ora l’annuncio dell’abolizione della protezione speciale ai migranti. Siamo oltre il “securismo”? Con il ministro Lollobrigida che parte lancia in resta contro la “sostituzione etnica”.
Parto proprio dalla sostituzione etnica. Ho letto Emanuele Fiano, esprimere il proprio pensiero sui social ed essere assolutamente sconcertato dalle parole del ministro Lollobrigida. Fiano ha detto che “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Immagino lo stato d’animo di chi, come lui, ha fatto della battaglia civile e culturale riguardante il valore della memoria la cifra del proprio impegno personale e collettivo. E ha ragione Fiano: siamo alle solite. Laddove, le “solite”, vuole dire una cosa ben precisa. Questa destra ipernazionalista che governa in Italia continua a fare riferimento ad un armamentario ideologico e culturale che ha le sue radici ben piantate nella storia del Movimento Sociale. Mi paiono i Lollobrigida e i La Russa, con le sue tesi gravi e strampalate sulla Resistenza, come il personaggio del Dottor Stranamore. Parlo del film. A un certo punto il braccio teso parte, è dentro di te, puoi tentare di fermarlo, ma tu sei quella cosa lì. Ed è inutile far finta di nulla o sminuire: loro sono proprio quella cosa lì. Ovviamente è la solita destra radicale all’italiana. Che poi la butta in caciara, fa le battutine, dice di essere stata fraintesa e gioca sul fatto che in quest’epoca, e potremmo dire in questo Paese in particolare, lo svuotamento del senso stesso delle parole è pratica costante. Così i Lollobrigida e i La Russa ne dicono una peggiore dell’altra consapevoli del fatto che quel che affermi può essere dimenticato, metabolizzato, sminuito.

Che fare?
Ecco: è ora di dire basta. E sono sicuro che in tanti lo faranno – lo faremo – partecipando alla manifestazione del 25 Aprile a Milano. In questa cornice, come dire, “identitaria”, si colloca la questione dell’immigrazione. Rispetto a cui FdI e Lega anche in queste ore sono in competizione non tanto perché si affermi una visione più razionale o efficace nella gestione del fenomeno quanto affinché prevalga la sparata più grossa degli altri. E poi si ritrovano uniti su di un aspetto essenziale: fare dell’immigrazione una grande arma di distrazione di massa. Parlano dell’emergenza, anzi traducono il linguaggio dell’emergenza in scelte normative, innanzitutto perché non vogliono che in questo Paese cresca un altro tipo di dibattito. Quello legato ai fondi del PNRR bloccati o, ancora di più, quello connesso al fatto che sulla vera emergenza di questo Paese -la condizione salariale e il costo della vita, ad esempio della casa, insostenibile per molti-, ecco su questo il governo non stia facendo assolutamente e palesemente niente.

Vi sono parole che nel vocabolario politico della destra italiana non sono contemplati. Inclusione e accoglienza sono tra queste.
Ciò è assolutamente ovvio. E accade per due ragioni. Innanzitutto la destra punta tutto sul fatto che il fenomeno migratorio non venga governato né gestito, in maniera assolutamente lucida e razionale confida nel fatto che il tema generi una condizione permanente di insicurezza. Il calcolo è banale e con i decreti Salvini e oggi con il Decreto Cutro si va proprio in quella direzione. Se limiti drasticamente le forme di regolarizzazione cosa ottieni? Di certo non più rimpatri. Poiché essi prescindono completamente dalla questione dei “permessi”, ma sono legati agli accordi bilaterali tra Paesi ancora in grandissima parte assenti. Dunque dire “cancelliamo la Protezione speciale così aumentiamo i rimpatri” è solo una cosa: una balla gigantesca. Tuttavia eliminare in tutto o in parte la Protezione speciale, che ricordo essere presente in forme analoghe in almeno altri 17 paesi della UE, un effetto molto concreto lo produce. Aumentano le persone senzatetto, quelle escluse dai percorsi d’accoglienza e si alimenta il lavoro nero, poiché i migranti direttamente coinvolti non possono più avere un contratto, davvero di alcun genere, in tasca. Quindi cresce una cosa sola: l’emarginazione. E questo è un effetto desiderato, non un incidente di percorso. Perché il gioco a cui la destra punta, e spiace vedere che anche il Presidente Meloni si presti, non è complicato: vedere crescere l’emarginazione per alimentare la sensazione di insicurezza e speculare sulla paura. Inoltre, è il secondo motivo a cui facevo riferimento, la destra non ha nessuna intenzione di dire ai propri elettori che sull’immigrazione vuole fare dei passi avanti e diversi. La cosa non mi sorprende per niente, è la natura stessa del sovranismo. In Italia, in Europa, nel mondo. Quel che mi interessa, detto tutto ciò, è quel che diciamo e facciamo “noi”.

Di nuovo, che fare?
Accoglienza diffusa e di qualità, piani per l’integrazione, progetti nazionali per l’apprendimento della lingua, la formazione, l’inserimento nel tessuto sociale, l’inserimento nel mercato del lavoro: tutto ciò deve essere il quadro di un nostro grande progetto che in questi anni è cresciuto nei territori ma non si è mai affermato nella sua dimensione ampia generale. Riconoscere forme di permessi temporanei idonei alla ricerca del lavoro per migranti, posso dirlo?, cosiddetti economici, e quindi non solo per chi fugge dalla guerra ma pure per chi fugge dalla “fame” è cruciale. Il principale nemico sia del rispetto dei diritti umani che della legalità e del sacrosanto diritto alla sicurezza nelle nostre comunità, è tenere i migranti nel limbo, nella zona dell’invisibilità. Questo riguarda anche cose molto semplici: ad esempio l’accesso al sistema sanitario, o il modo in cui affrontiamo il rapporto tra marginalizzazione e disagio psichico. O prendiamo la tematica enorme, e totalmente rimossa dei minori non accompagnati: i sindaci delle città hanno prodotto un appello molto serio in tal senso. Essi dicono non lasciateci soli e hanno ragione.

Il “nuovo Pd” e la guerra. Come recuperare un rapporto forte con il movimento pacifista?
Credo che il lavoro faticoso di Elly Schlein, Giuseppe Provenzano e generalmente dei nostri gruppi parlamentari di tenere fede all’impostazione del sostegno al popolo ucraino, anche attraverso l’invio delle armi, e al contempo di sollecitare un’iniziativa politica ben più marcata all’Europa vada nella direzione giusta. Si deve per me marciare in questa direzione, in modo ostinato. Altrimenti il paradosso è che si consegni il potere negoziale solo alla Cina. L’Europa deve essere molto più ambiziosa e per esserlo, tuttavia, deve essere più forte e unita. Non c’è via di scampo: se l’Europa non scommette sulla sua coesione non avrà mai una voce potente unitaria nel campo della politica esercitata su scala globale.

Il prossimo anno si vota per il rinnovo del Parlamento europeo, di cui lei ha fatto parte. Qual è la posta in gioco?
Mi sono appena dimesso dal parlamento europeo per dedicarmi innanzitutto a quel che devo fare: costruire l’opposizione a Fontana ed essere coerente con gli impegni che mi sono preso in campagna elettorale. Detto questo. La posta in gioco è altissima. Sembra una frase fatta ma è proprio in gioco il futuro dell’Europa. Io credo che ancora più di prima ci si debba battere per un’Europa potente, determinata ad affrontare oltre la dimensione delle nazioni le grandi sfide globali. Desiderosa di ritrovare un proprio posto chiave nello scenario internazionale e di insistere rispetto alle questioni della crisi climatica, delle migrazioni, della lotta alle povertà. I movimenti che si stanno consolidando nel dialogo tra popolari e destre nazionaliste vanno letti allora con grande preoccupazione. Perché se si consolida quell’asse si torna indietro e avremo un’Europa molto ma molto più debole.

Lei è entrato a far parte della neonata Segreteria nazione del Partito democratico. Ma il rinnovamento promesso da Elly Schlein può fermarsi al cambio – peraltro contrastato – dei vertici?
Ovviamente no, è Elly Schlein non ha nessuna intenzione di usare i membri della segreteria come “figurine” per dimostrare la sua coerenza. Dobbiamo cambiare molto. Sul piano del modo di essere, innanzitutto. Serve un PD tosto e combattivo di cui si capisca fino in fondo il pensiero, il punto di vista sul mondo, per usare un linguaggio di un altro tempo della politica. Per questo mi convince il modo in cui la segretaria sta affrontando queste prime settimane. Mi pare ci sia la voglia di insistere proprio sull’innovazione. E la prima innovazione a cui darò il mio piccolissimo contributo, è pure quella di non rinchiudersi in tante piccole tribù interne. Il congresso è finito, vi ha partecipato molta più gente di quella che pensassimo e ora dobbiamo essere tutti all’altezza di quella domanda di buona politica che ci hanno rivolto le persone che hanno partecipato alle primarie.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.