Ad ascoltare il racconto dei media sembra che la lotta alla mafia ed alla camorra la facciano soltanto coloro i quali non svolgono un’attività di impresa. E questo racconto è diventato patrimonio della cultura e della coscienza del nostro paese. Giornalisti, parenti di vittime, preti e magistrati rappresentano nell’immaginario collettivo gli unici attori protagonisti della lotta alla criminalità organizzata. Eppure gli esperti raccontano che la camorra e la mafia si infiltrano negli appalti pubblici perché è lì che oramai è il loro “core business”.

Ed allora come è possibile che non c’è mai un eroe tra gli amministratori della cosa pubblica nel racconto mediatico della lotta alla mafia ed alla camorra? Le risposte possibili a questa domanda sono due. La prima: perché gli amministratori pubblici sono tutti in qualche modo collusi. La seconda: perché la storia che si racconta della lotta alla mafia ed alla camorra è una storia fatta troppo spesso di propaganda e populismo ed omette invece il racconto di un lungo e complesso lavoro quotidiano svolto da parte di tanti che amministrano la cosa pubblica, combattono, evitano coinvolgimenti, dicono di no a tizio o a caio, in silenzio e rischiando spesso di farsi male. Sono forse loro, sindaci, assessori, dirigenti di società partecipate, coloro i quali portano avanti la vera lotta alla mafia e dalla camorra, lì dove si muovono milioni di euro, senza scorte e senza pubblicità?

La colpa di questo racconto falsato o almeno incompleto è della politica e dei media. Ma mentre i media fanno in fondo soltanto il loro mestiere (di attirare l’attenzione dove meglio riesce), la politica oggi non fa affatto il proprio dovere. Tutti i partiti si combattono l’uno contro l’altro a colpi di sciabola raccontando male l’uno dell’altro appena se ne presenta l’occasione, enfatizzando e manipolando inchieste giudiziarie, guardando soltanto al proprio interesse o tornaconto elettorale di breve respiro. La politica non si preoccupa di rappresentare sé stessa come un corpo dove – certamente sì, ci sono “nei” ed “ombre” anche grandi e diffusi – vi è una parte sana del paese. Ed invece il racconto che la politica fa di sé stessa, forse involontariamente, in accordo sostanziale con i media ed una parte della magistratura inquirente, è di una mela marcia.

Ma è proprio tutta marcia questa mela? La politica è l’amministrazione della cosa pubblica. Possibile che non riesca ad offrire una immagine di sé stessa complessivamente migliore? In questo modo la politica distrugge sé stessa; è entrata in un circolo vizioso dove la qualità delle persone che si dedicano alla amministrazione della cosa pubblica scende sempre più in basso coinvolgendo inesorabilmente il corpo intero del paese. Conseguenza: i giovani si allontanano dal voto e dalla politica E come potrebbe essere diversamente?

Forse se raccontassimo di un mondo fatto di amministratori pubblici che lottano in silenzio tra mille ostacoli contro la burocrazia ma anche contro infiltrazioni camorristiche e mafiose, se raccontassimo di eroi silenziosi veri baluardi della legalità sul campo, nella gestione di appalti e gare, forse se tutti insieme raccontassimo dell’esistenza di un mondo sano che non è fatto solo di preti magistrati e giornalisti, forse, dico forse, tutti ne avrebbero giovamento. Perché la politica, piaccia o non piaccia, in fondo, è la spina dorsale del paese. Se questo racconto invece non è possibile, perché non esiste, allora delle due l’una. O la mafia non esiste o il nostro paese è tutto marcio e perduto.