Paolo Macry ha insegnato Storia Contemporanea presso l’Università Federico II di Napoli, di cui è attualmente professore emerito. E custodisce una storia di famiglia che vale la pena raccontare. Parliamo di quando, nel 1948, l’Argentina era ancora un paese ricco e di belle speranze, mentre l’Italia usciva a pezzi dalla guerra fascista. Fu allora che i Macry, famiglia di notabili calabresi, decisero di trasferirsi dall’altra parte del mondo. Diventando Macri. E diventando la famiglia più importante – insieme ai Rocca – di quel singolare quadrante del mondo. Ai nostri antipodi ma permeato in profondità dagli italiani, che contribuirono non poco a farne un paese fiorente.

In quegli stessi anni, in quella stessa dinamica Buenos Aires, arrivarono i Bergoglio. Le opportunità erano molte e, nel tardo Novecento, Franco Macri – il cugino di Paolo Macry – era ormai diventato un tycoon, controllava innumerevoli attività industriali. Mentre il figlio di Franco, Mauricio Macri, conquistò nel 2015 la Casa Rosada. Ma tra Macri e Bergoglio, tra il presidente e l’arcivescovo di Buenos Aires e poi Papa di Roma, non corse mai buon sangue.

Lei quando Bergoglio fu eletto al soglio pontificio, nel 2013, si trovava in Argentina, ospite dei Macri. Cosa le dissero?
«Franco in particolare sembrava contrariato. Mi disse: “Lo conosco bene. È un gesuita, ma è qualcosa di più e di diverso. È un gesuita argentino. Le sue radici sono qui, sono il populismo argentino. Bisogna stare attenti, non è così bonario come sembra, è un duro. Ha in mente il popolo, vuole il riscatto del popolo. Come Fidel”».

Fu anche la sua forza. Ma tenne sempre stretti i suoi rapporti con l’Argentina?
«Direi di no. Da Papa non ha mai fatto ritorno a Buenos Aires. Aveva rapporti difficili anche con i coniugi Kirchner, con Nestor e con Cristina, quando furono una dopo l’altro alla casa Bianca. Ma di certo non vedeva di buon occhio i Macri. Mauricio era un liberale, promuoveva politiche liberiste, Bergoglio non avrebbe mai potuto apprezzarlo. Lui il peronismo lo portava nel sangue. Certo è che Mauricio venne ricevuto in Vaticano, da presidente dell’Argentina, soltanto nel 2016. E si disse che il clima non fu dei più cordiali».

Paolo Macry

Bergoglio del suo populismo non fece mai mistero…
«Al contrario, lo mantenne come cifra politica del proprio magistero. Traspariva da ogni suo atto e anzi sembrava che facesse di tutto perché trasparisse. Aveva idee chiare, un carattere forte, ma sempre accompagnato da un linguaggio accattivante, semplice. É stato, dal punto di vista mediatico, efficacissimo. Era capace di maneggiare con abilità i media. Sapeva arrivare al suo popolo».

Tutto questo deriva proprio dalla sua biografia?
«Deriva da una cultura che ha forgiato intere generazioni argentine, che è emersa in modo trionfale con Peròn e che tuttora è politicamente imprescindibile. Bergoglio è cresciuto in questa temperie, fortissima nei ceti popolari del paese, dove religione cattolica, miti castristi e chavisti e peronismo si fondono in una miscela tra le più radicate».

E dunque quale dottrina sociale ne viene fuori?
«Bergoglio è stato sempre “antioccidentale”, diffidente nei confronti della Nato, vicino agli ortodossi di Mosca, ostile al governo israeliano. Ma è stato anche, a monte, il cardinale e poi il Papa che predicava la teologia del popolo, che identificava la ricchezza con la corruzione e la povertà con la santità, che polemizzava aspramente con i mali del progresso. Che difendeva il Sud del mondo. Non ha mai inteso andare oltre simili coordinate politico-culturali. In questo è stato di una coerenza assoluta».

I rapporti con l’attuale presidente Milei, in effetti, lo dimostrano: non furono meno burrascosi…
«Javier Milei oggi lo piange e sarà a Roma per presenziare ai suoi funerali. Ma naturalmente i due non si sono mai amati. Avevano visioni del mondo agli antipodi. Malgrado un incontro cordiale, l’anno scorso, erano incompatibili. Bergoglio del resto ha avuto rapporti difficili con tutti i liberali argentini. Anzi, bisognerebbe dire, con tutti i pochi liberali disponibili sulla piazza argentina. Una volta Mauricio Macri, quando era governatore di Buenos Aires, disertò la messa solenne celebrata da Bergoglio, preferendo incontrare il Dalai Lama. Dicono che il futuro Papa Francesco se la legò al dito».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.