Questa volta a mettere in campo il carro armato contro Silvio Berlusconi, dopo l’Espresso e il Fatto, provvede direttamente un antico antagonista, forse vero nemico nei sentimenti, come Carlo De Benedetti. E usa il suo giocattolo privo di orpelli e controlli, il nuovo quotidiano Domani, che pare talvolta più un volantino di propaganda politica o giudiziaria che un giornale. Le prime quattro pagine sono dedicate interamente a lui, quel Silvio Berlusconi che, se pur ha dovuto alla fine della lunga battaglia sulla Mondadori pagare denaro sonante all’antico antagonista, resta un uomo di grande successo da invidiare: grande imprenditore, due volte presidente del consiglio, con una bella famiglia di figli e nipoti che lo adorano.

Non è questa l’immagine che l’editore e il direttore di Domani e anche una antica firma di Repubblica come Attilio Bolzoni hanno dell’ex presidente del Consiglio. “L’ombra delle stragi torna su Berlusconi”, così l’apertura di Domani di ieri. E giù quattro pagine di non-notizie. Ma, scrivono i cronisti Attilio Bolzoni e Nello Trocchia, “basta incastrare insieme i fatti, metterli in fila, rileggere qualche documento…e tornare all’Italia di quasi trent’anni fa”. Eh si, perché prima delle 49 citazioni con cui il libro di Sallusti-Palamara commenta i complotti giudiziari che hanno preso di mira Berlusconi inaugurando il filone di investigazione sessuale, in tanti ci avevano già provato, nel percorso del professionismo dell’antimafia. Nessuno lo ricorda, ma prima ancora dell’inchiesta “Sistemi criminali” ce ne fu una chiamata “Oceano”, che presto si inabissò.

Lo so, perché ci fu una parte di servizi segreti avversa agli uomini della Dia che svolgevano quelle indagini, che per lungo tempo mi inviò, mentre ero alla presidenza della commissione giustizia della Camera, lettere e documenti in perfetto stile “barbe finte”. Non ho mai fatto alcun uso di quei documenti. Ho solo dato riscontro del fatto di averli ricevuti indossando un foulard della Dia nel corso di un’intervista che mi aveva fatto Emilio Fede quando era direttore del Tg4. Era chiaro fin dal 1994 che Silvio Berlusconi fosse il bersaglio non solo di ambienti politici, ma anche giudiziari. I meno pericolosi erano i milanesi, fin da quando Saverio Borrelli aveva intimato “chi sa di avere scheletri nell’armadio non si candidi”. Altri furono più agguerriti. E puntarono alto. Da dove arriva questo palazzinaro brianzolo così volgare, dove ha preso i soldi per inventare e avere successo con le televisioni commerciali e comprare una squadra di calcio, il Milan, che mieterà successi nel mondo come nessun’altra? E come mai decide di entrare in politica subito vincendo le elezioni? Chi gli ha dato i voti? Quattro indagini ufficiali (più “Oceano”), quattro archiviazioni non sono ancora sufficienti.

Qualche “pentito” lo si trova sempre, un tanto al chilo. Così oggi, a leggere gli informatissimi tre organi di stampa, Espresso, Fatto e Domani, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sarebbero di nuovo iscritti sul registro degli indagati a Firenze per “concorso in strage”. E si, sarebbero i mandanti delle bombe messe (forse) da Cosa Nostra nel 1993 in luoghi d’arte di Milano, Roma e Firenze. Lo scopo di quegli attentati? Creare paura e affidarsi all’ “uomo nuovo”. Bisogna risalire ai giorni che precedettero la famosa “discesa in campo”. C’è oggi un ergastolano al 41 bis, condannato per diverse stragi di mafia, Giuseppe Graviano, che sta assaporando gli ultimi provvedimenti della Corte Europea e della Corte Costituzionale sul regime del carcere impermeabile, e la possibilità, a certe condizioni, di poter avere permessi premio pur senza essere un “pentito”. Graviano è uno che dice e non dice, fa giochi di prestigio con le parole, si fa “sorprendere” a fare confidenze mentre passeggia nei cubicoli dell’aria nel carcere pieno di microspie. Ma l’ultima volta ha parlato anche in un’aula processuale, a Reggio Calabria, verso la fine del 2020, e ha detto che nel 1993, mentre era latitante, avrebbe incontrato tre volte Berlusconi a Milano e che quest’ultimo gli avrebbe chiesto aiuto in Sicilia per le future elezioni cui si sarebbe candidato nel 1994.

Ma non è sufficiente Graviano, c’è anche Gaspare Spatuzza, quello le cui parole sono d’oro perché ha smascherato il complotto ordito tramite il falso pentito Scarantino, quando tutto avrebbe potuto essere chiaro fin dal 1992. Spatuzza dice che Graviano gli aveva già parlato di Berlusconi durante un incontro al bar Doney di via Veneto a Roma il 21 gennaio 1994. E, guarda caso, dice Domani, proprio in quei giorni anche Dell’Utri era a Roma, per partecipare alla convention di presentazione di Forza Italia. Chiaro il nesso? Cose di piccoli uomini, mafiosi a assassini, che cercano qualche via d’uscita dalla loro misera vita. Ma il punto è che i pubblici ministeri di Firenze si sono precipitati nei mesi scorsi in Sicilia e anche nelle diverse carceri a interrogare pentiti e non. E il punto è anche che “basta incastrare insieme i fatti, metterli in fila, rileggere qualche documento…” per far scattare le ghigliottine, senza prove, senza indizi, senza riscontri. E senza pudore. Facciamo un esempio facile, tenendo nelle mani l’articolo di “Domani”.

Si parla dell’attentato contro Maurizio Costanzo. E lo si definisce “..protagonista di trasmissioni contro la mafia ma anche contrario alla discesa in campo di Silvio Berlusconi”. Chiara l’allusione? La mafia voleva uccidere il conduttore di Mediaset forse per un motivo o forse per l’altro o forse per tutti e due. Si potrebbe far notare che per esempio Fedele Confalonieri era molto perplesso sul fatto che Berlusconi entrasse in politica, mentre altri come il liberale professor Urbani gli spiegavano il disastro che avrebbe investito l’Italia qualora le elezioni fossero state vinte dalla gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto, mentre le forze politiche del pentapartito che avevano governato l’Italia erano state spazzate via dalle inchieste di Tangentopoli. E come dimenticare quanto l’allora imprenditore di Arcore abbia supplicato Martinazzoli perché si candidasse contro Occhetto? Basterebbe un po’ di memoria sulla nascita di Forza Italia. O forse un po’ di volontà.

Invece basta mettere insieme un po’ di pere e un po’ di mele, sale quanto basta. I famosi dati sui trecento detenuti cui non fu rinnovato il 41-bis, oggetto di “trattativa”, mentre si dimentica che di questi solo 18 erano di appartenenti alla mafia. O addirittura il “decreto Biondi”, che sarebbe stato emanato dal governo Berlusconi non, come era stato detto fino a ora, per scarcerare i corrotti, ma gli uomini delle cosche. E quali? Fare nomi e cognomi please, visto che dopo che il provvedimento fu ritirato in seguito al disconoscimento di paternità del ministro dell’interno Maroni, che ne era stato l’estensore insieme al collega guardasigilli, meno del 10 per cento degli scarcerati fu riarrestato. Quante stupidaggini! Una volta dell’Utri condannato per aver fatto da cerniera tra Cosa Nostra e Berlusconi, l’altra, nel processo “trattativa”, per aver tramato “contro” lo stesso presidente del consiglio. Ma intanto, ci racconta Domani, c’è un grande movimento di pubblici ministeri di mezza Italia di questi tempi che convergono sugli stessi due indagati come mandanti di stragi. Perché, come dice Graviano, “lui voleva scendere”, e ci voleva “una bella cosa”. Cioè le bombe e anche… – ci credete? – il decreto Biondi. Senza senso del ridicolo “Domani” scrive che “il contenuto del provvedimento sarebbe stato conosciuto con anticipo da Cosa Nostra”.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.