L'intervista
Marco Mancini: “L’intelligence sta andando in tilt”. I comici russi, i casi Sala, Abedini e Paragon: “Nessuno lavora più alla prevenzione. E in Italia si nasconde un altro torturatore”
Lo 007 del caso Autogrill fa notare che il software israeliano “non poteva essere usato sulla stampa, semmai per il generale libico”

Incontriamo Marco Mancini, ai vertici Dis fino a quattro anni fa dopo una carriera alla guida del controspionaggio italiano, quando sono uscite da poco le dichiarazioni di Salvini sulla necessità di porre fine alla guerra nei servizi. «Cosa ci sia di vero, a proposito di questa guerra, non lo so. Dopo due anni e mezzo al governo, forse si sarebbe dovuto capire prima che alcune cose non funzionano, che gli apparati sono andati un po’ in tilt».
Cosa avrebbe dovuto segnalare il malfunzionamento di sistema?
«Gli episodi sono tanti. Per esempio quello dei due comici russi che sono riusciti a fare una conversazione di mezz’ora con la Presidente del Consiglio. Se due comici russi compiono una operazione del genere significa che sono autorizzati da Putin, chi fa questo lavoro lo sa bene. Ci sono dietro i vertici dei servizi segreti russi. E sono stati loro a trarre in inganno la nostra premier. Occorreva forse più tutela verso le istituzioni».
A proposito di russi, c’è stato il caso Artom Uss, una ferita che brucia ancora…
«Uss è un signore che con ogni probabilità fa parte dell’entourage dei servizi segreti russi. Viene raggiunto da mandato d’arresto Usa e tratto in arresto alla Malpensa. Viene messo ai domiciliari a Milano e pochi giorni prima di essere estradato viene preso da un gruppo sicuramente legato all’intelligence russa e fatto evadere: lo portano in macchina nei Balcani e da lì in aereo a Mosca. Beffandoci. Le responsabilità non sono mai state appurate, ma sicuramente non sono state dei magistrati o della Polizia. Si è dimostrato ancora una volta come gli agenti russi abbiano facile manovra sul nostro territorio».
E veniamo a Cecilia Sala e Abedini. L’iraniano viene arrestato e nessuno si premura di mettere al riparo, a Teheran, la giornalista italiana che infatti diventa oggetto di un sequestro di regime.
«Un fatto recentissimo che ci tocca da vicino. Un terrorista – o una spia, secondo gli americani – viene tratto in arresto alla Malpensa il 16 dicembre. Quando si fanno arresti di questo tipo, e si coinvolgono persone che fanno parte, come Abedini, del sistema di intelligence e di difesa iraniana, si devono simultaneamente proteggere gli obiettivi italiani più a rischio. Il fatto che nessuno la abbia avvertita, nascosta, fatta uscire dall’Iran nei tre giorni che c’erano a disposizione, indica che qualcosa non sta girando nel verso giusto».
Poi ci sarebbe il pasticcio più intricato di tutti, Almasri. Che ha toccato terra a Fiumicino prima di andare a Londra, una settimana prima del mandato di arresto della Cpi. Perché anche in questo caso sembra che i nostri apparati siano stati presi in contropiede?
«Non capisco come mai un assassino, un torturatore della sua fama sia stato fatto transitare da Fiumicino senza che siano scattati gli allarmi di sicurezza. Lì il governo, la politica doveva essere messa al corrente: i servizi di intelligence analizzano i casi prima che possano scoppiare, hanno una funzione preventiva. Andava evitata una situazione di imbarazzo per il governo. Al netto degli accordi che possono esserci o non esserci con la Libia: se sappiamo che quel suo viaggio in Italia può metterci in difficoltà, gli diciamo di non transitare per Fiumicino. Sembra che ci sia stata una mancanza di conoscenza e di informazione, anche reciproca, tra i servizi europei. Non è stata sviluppata una adeguata attività informativa, a partire dalla Libia, dove invece una volta noi avevamo occhi e orecchie sempre ben aperte».
Che cos’è questa storia del software israeliano Graphite, dell’azienda Paragon?
«È uno strumento invasivo, penetrante e difficilmente rilevabile sviluppato da una società che ha valori etici forti e che ha deciso di rescindere il contratto con l’Italia. Al di là delle attività che può realizzare questo troyan, è pericoloso perché può anche inserire all’interno di un pc o di un cellulare materiale improprio: fotografie pedopornografiche o materiale classificato, per esempio. Ad uso ricattatorio: chi le riceve, a sua insaputa, può essere arrestato. E deve poi riuscire a dimostrare la propria innocenza. I servizi segreti servono, come attività preventiva, per scongiurare che minacce di questo tipo possano avvenire. Inoculare questi malware nei dispositivi dei giornalisti mi sembra paradossale. Andava messo nel cellulare di Almasri, semmai. E di quelli della sua cerchia che girano indisturbati, in Europa e in Italia».
In Italia? Vuole dire che ci sarebbero altri casi Almasri di cui non siamo a conoscenza?
«Ci sono trafficanti di esseri umani, torturatori e violentatori nella sua cerchia. Almasri ha un patrimonio di 60-70 milioni di dollari e può avvalersi di una fitta rete di complicità e di collaboratori forse più pericolosi di lui. Mi risulta che abbia un braccio destro che si chiama Abdeladhim Tadeg Ramadan, ha 29 anni ed è a capo di un’altra base militare, Ain-Zara, dove si incrociano traffico di armi e di droga. Sarebbe venuto in Italia un anno e mezzo fa».
Scusi Mancini, come mai lei sembra saperne più di quanto ne sanno i Servizi segreti oggi? Ne è fuori da quasi quattro anni…
«Questo dovrebbe chiederlo a chi è in attività, non a un pensionato come me».
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