La campagna elettorale
Maresca archivia il civismo e accetta i simboli del centrodestra
Catello Maresca, condotto a più miti consigli dai sondaggi che lo danno all’8% senza l’appoggio dei partiti, incassa finalmente il sostegno del centrodestra unito. Forza Italia ha annunciato che sosterrà il Progetto per Napoli del pm col proprio simbolo: decisiva la telefonata tra lo stesso magistrato e Silvio Berlusconi. Stesso discorso per Lega, disposta a correre per Maresca anche senza simbolo, e Fratelli d’Italia, che ha accantonato il proposito di presentare un candidato sindaco alternativo al pm. Sta di fatto che la posizione di Maresca con i partiti appare competitiva, molto meno senza.
Gaetano Manfredi, dopo diversi tentennamenti, si definisce ormai un candidato indipendente (non più “civico”) ma garante di un accordo tra partiti (il famoso quanto evanescente patto per Napoli). La candidatura di Manfredi, sebbene la formula retrostante non sia semplice da inquadrare alla luce della crisi interna al M5S, appare più forte se ancorata ai partiti che lo sostengono, molto meno senza: se questi dispongono di pochi voti (penso al Pd cittadino), possono però fare affidamento su tanti professionisti di area che tornano utili nel lavoro di giunta e nelle partecipate. Bassolino stesso, dichiarandosi politico e non civico, ha potuto incassare l’appoggio di Azione (tanto che è imminente la discesa di Matteo Richetti a sostenerlo): un partito ancora gracile a Napoli, ma pur sempre presente, anche in modo vivace, nel dibattito nazionale e tra le pochissime forze di centrosinistra con prospettive non pessimistiche.
Tutto questo per dire cosa? Che con i partiti alle spalle si sta più comodi e sicuri, per quanto pure sia disastrato il sistema delle forze politiche. L’hanno capito anche i candidati. Sembra volgere alla fine la stagione del civismo, dove gli aspiranti sindaci si presentano programmaticamente “contro” i partiti pensando di trarre benefici da questa presa di distanza. Questa fase volge al termine anche a Napoli, sulla scia di ben più rilevanti tendenze nazionali. Il Governance Poll 2021, realizzato da Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore, ha dato risultati inequivocabili in tema di gradimento delle cariche elette direttamente dai cittadini, cioè di sindaci e presidenti di Regione: i più popolari sono esponenti di partito, i meno popolari sono quelli che si presentano come “civici” o legati a movimenti. Quindi alla testa della classifica ci sono – cito in ordine sparso – Luca Zaia, Antonio Decaro, Stefano Bonaccini, Giovanni Toti e Vincenzo De Luca (il quale, sempre in polemica con il “suo” Pd, non si può dire che non sia uomo di partito fino in fondo o che non abbia entrature a Roma).
Tra i meno popolari figurano esponenti civici o tendenti a presentarsi come “alternativi” al tradizionale sistema dei partiti: Leoluca Orlando, Gianluca Festa e Luigi de Magistris. Non mancano le eccezioni, ovviamente, ma la tendenza è chiara. Il Sole 24 Ore l’ha spiegata come la riprova che gli eletti più popolari sono quelli carismatici. Ma se questo dato era evidente in piena emergenza Covid ed ebbe le ricadute che sappiamo alle scorse regionali (come la prodigiosa rimonta di De Luca), oggi questa chiave di lettura appare parziale. Del resto chi sarebbe più istrionico di Orlando, che è fanalino di coda ed è forse il capostipite del civismo italiano della Seconda Repubblica? E Toti è carismatico? La sensazione, invece, è che gli italiani si vadano “vaccinando” dal civismo antipartitico: nelle espressioni più avanzate per valutazioni consapevoli, negli altri casi per una valutazione spassionata dell’operato dei propri amministratori. Politico – nel senso di partitico – è meglio.
Probabilmente influisce anche un altro dato che aleggia nel dibattito pubblico. Gli italiani, con diversi gradi di consapevolezza, hanno compreso che gli apparati pubblici sono destinati ad acquisire una nuova centralità, che siamo alla vigilia di un ammodernamento del Paese sul piano strutturale e infrastrutturale, che stanno arrivando tanti soldi che vanno spesi bene. Un politico, percepito come ben inserito nel sistema e forte all’interno del proprio partito, viene considerato più affidabile dai cittadini e in grado di far vincere la sfida della competitività all’ente che amministra. Un ritorno al cursus honorum della prima Repubblica?
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