Politica
Mattarella, il patriota di cui abbiamo bisogno

Il decimo messaggio di augurio a reti unificate del presidente Mattarella è stato commentato dalla politica con un inconsueto plauso bipartisan, nonostante alcune nette sottolineature non proprio dolcissime su insufficienze governative in tema di carceri, di prevenzione degli incidenti sul lavoro, di frattura Nord-Sud, di aspettative disattese delle giovani generazioni.
Si tratta di temi-insieme a quelli della pace-costantemente presenti nell’agenda di Mattarella, che ha voluto caratterizzare la sua presidenza con il richiamo costante ai principi dell’eguaglianza e della solidarietà, nella consapevolezza della loro centralità nella visione dei costituenti, al punto da irradiarne l’intero impianto. Dietro l’inusitato convergere di governo e opposizione, però, c’è probabilmente anche la consapevolezza di un forte consenso popolare per il Presidente, unico tra le istituzioni politiche ad aver registrato nell’ultimo decennio costantemente un sincero sentimento di fiducia, offrendo sembianze “umane” ad una figura che, pur essendo percepita come proveniente dallo stesso mondo della politica, tuttavia se ne distacca, ponendosi fuori dal conflitto, usando un lessico fermo ed autorevole ma mai polemico o gonfio di stizza, facendosi-qualcuno ha ricordato “ombudsman” degli italiani. Facendo, in definitiva, il suo mestiere, seguendo la traccia segnata dalla Costituzione, che pone nella sua persona l’onere di rappresentare l’unità della nazione, richiamata anche stavolta da Mattarella, con il “patriottismo solidale”.
E come potrebbe una comunità di politici che ha già abbandonato per strada il cinquanta per cento degli elettori, dare anche soltanto l’impressione di non gradire i messaggi di un Presidente interpretato dal popolo come ultima Thule della politica? I messaggi di fine anno rappresentano lo strumento privilegiato del dialogo di Mattarella con gli italiani. Sbrigativamente liquidati dalla dottrina come “esternazioni”, in realtà sono uno strumento che va ben oltre l’esternazione informale che il Presidente svolge nelle diverse occasioni in cui prende la parola. Si tratta, infatti, di un appuntamento fisso, consuetudinario, che prese il via con un breve messaggio radiofonico di Einaudi nel 1949 e poi trasmigrato nella tv di stato, che ha avuto come contenuto non solo un sintetico bilancio dell’anno trascorso e l’augurio per quello nuovo (elementi presenti nei messaggi di fine anno che i capi di Stato pronunciano in quasi tutti gli Stati sovrani nel mondo, dalle monarchie alle repubbliche, dalle democrazie ai regimi autocratici), ma anche la visione presidenziale dei doveri a carico della politica imposti dalla Costituzione, guardando soprattutto alla parte più fragile della popolazione.
Se volessimo cercare una definizione intermedia tra consuetudine costituzionale ed esternazione, forse la più appropriata potrebbe apparire quella richiamata nel diritto inglese di “convenzione costituzionale”, pensando ad una forma particolare di esternazione tipizzata che trova spazio nei poteri “a fisarmonica” (perché si allargano o si riducono secondo la necessità del momento) riconducibili al ruolo del Capo dello Stato. Che la “fisarmonica” di Mattarella abbia dovuto spesso prendere fiato per recuperare il respiro giusto dell’Italia, persa nei labirinti di una politica spesso volgare, inutilmente conflittuale e incapace di visione, l’abbiamo più volte capito in questi anni di presidenza, trovandoci spesso con lui a lanciare sospiri di sollievo.
Un solo ricordo per tutti: i tre mesi di rovinose giravolte carpiate di Cinquestelle e Lega dopo il voto del 2018, prima di vedere la nascita del Conte I, dietro robusta moral suasion del Presidente, con la minaccia del più veloce ricorso alle urne della storia repubblicana. Ma è solo l’esempio più eclatante di ciò che i giuristi hanno chiamato “magistratura d’influenza”, molto ben interpretata da Mattarella, ma che ha avuto, soprattutto nella seconda Repubblica, deprivata della forma-partito e dedita al cesarismo dei leader di turno, molte occasioni di impegno da parte dei Capi dello Stato.
Insomma: la Costituzione ha disegnato nel Presidente un ruolo di ultima istanza, quando la politica da sola non ce la fa. Bene faremmo a non pasticciare con riforme controverse e inutili che potrebbero stravolgerlo, a danno di quel “patriottismo solidale” di cui abbiamo tanto bisogno.
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