Vi invito, in compagnia di uno dei più grandi filosofi d’Occidente, a diffidare di qualsiasi proposta politica che si appella soprattutto alle vostre paure. Ma procediamo con ordine, e partiamo dal Mare Nostrum. Il Mediterraneo, preziosa cerniera fra tre continenti è tornato al centro della scena, con i flussi migratori che generano xenofobia, l’Isis e la guerra in Siria, l’autoritarismo imperialista turco, le recente guerra in Ucraina. È utile interrogarsi sul suo futuro e sulla sua possibile funzione. Lo fanno un dirigente d’impresa, scrittore di gialli e reporter italiano e un giornalista greco esperto dell’Italia e traduttore dalla nostra lingua: Mediterranea.

Un dialogo, Dimitri Deliolanes e Leonardo Palmisano (Fandango), entrambi onestamente ed esplicitamente molto schierati, e preoccupati dell’avanzata della destra populista in Europa. Unica obiezione potrebbe essere che sì il neoliberismo, evocato ogni tre righe, è la causa dell’80% dei mali del pianeta, ma non proprio di tutti! In ogni caso ne viene fuori uno scambio a tratti anche molto “emotivo”, con sinceri momenti di sdegno e severe condanne del ceto politico attuale (in primis quello italiano), e al tempo stesso molto informato. Anzitutto, a proposito della paventata minaccia “dell’invasione” Palmisano ha buon gioco a ricordare che “il tema della sicurezza sociale è stato scaricato sui migranti”, quando sappiamo che le migrazioni “sono il motore più potente del cambiamento storico in corso nel globo”.

Se “la destra non accetta il senso vitale di questo eterno pellegrinaggio sul pianeta” (e perfino una parte della sinistra) resta tagliata fuori dalla Storia stessa. L’immigrazione è inarrestabile. E da noi cominciò parallelamente al declino demografico, quando le imprese italiane assorbirono manodopera straniera in condizioni di diritto inferiori a quelle degli italiani. L’Ungheria di Orban apparentemente è priva di migranti. Certo, non ce ne sono di africani e arabi, però è piena di immigrati provenienti dai paesi ex sovietici che fanno i soliti lavori – badanti, pulizie, etc. – sottopagati: in Ungheria e in Polonia però sono immigrati invisibili, tutti clandestini.

Le migrazioni sembrano poi rispondere essenzialmente a un bisogno di libertà: leggendo il libro apprendiamo non solo che la Grecia è un paese di rifugiati – la metà della popolazione composta da greci provenienti dall’Asia Minore – ma scopriamo anche l’insensatezza di qualsiasi spauracchio della “invasione” straniera! Lo sapevate che in Africa ci si sposta quasi sempre per restare in Africa (verso le grandi città nere), e che solo una porzione “elitaria”, o molto povera, di questo blocco di umanità va in Europa? In questo caso una politica fondata sulla paura dell’altro svela tutto il suo opportunismo. Inoltre, non necessariamente l’immigrazione costituisce una tragedia: in Grecia nei primi anni ’90 ci fu un esodo in massa dall’Albania, accolto con una ventata d’isteria dovuta alla cattiva informazione dei media. Oggi in Grecia ci sono 700.000 albanesi residenti, naturalizzati e pienamente integrati (integrazione elogiata dalla Ue). Mentre sappiamo che la nostra democrazia non concede la cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri. Ce lo impone Bruxelles? Tutt’altro.

“È l’idea marcia dell’identità come qualcosa di puro” e che confligge con l’immagine degli italiani brava gente. A ciò si aggiunga l’ipocrisia per cui in Italia il numero delle coppie miste è bassissimo mentre il numero dei rapporti sessuali a pagamento tra italiani e straniere è molto alto. L’egemonia sul Mediterraneo meridionale non può ridursi ad essere una questione bellica (si pensi solo all’assassinio “spettacolare” di Gheddafi, rilancio della potenza militare francese, all’Isis…). I due interlocutori sottolineano la crisi della politica, sempre più impotente e disarmata, la scarsissima incisività dei ministri degli Esteri dei vari paesi. Limitiamoci all’Italia, con i due gravi casi irrisolti di Giulio Regeni (sequestrato, torturato e ucciso al Cairo dai servizi segreti) e Patrick Zaki (militante per i diritti umani, rinchiuso nelle carceri di al-Sisi immotivatamente e senza processo, scarcerato dopo quasi due anni).

Sul primo ancora non disponiamo di una verità ufficiale, quella cioè che incrinerebbe i nostri rapporti con l’Egitto e che potrebbe colpire gli interessi dell’Eni (su questa mancata ricerca della verità si registrano equanimemente nel libro le responsabilità di varie forze politiche: Forza Italia, Cinque Stelle, etc.). Così “il primato dell’economia, dei mercati sulla politica è il motivo del fallimento della politica mediterranea dell’Italia”. Un vero peccato se pensiamo che per ragioni storiche, geopolitiche, culturali, etc. “la funzione dell’Italia è unire le sponde del Mediterraneo, non dividerle”.

Torniamo al terrore dell’altro, sollecitato e alimentato contro i flussi migratori. Per Spinoza, uno dei maggiori filosofi della politica e lettore di Machiavelli, la paura (insieme alla tristezza, ad essa affine) è una passione “triste”, lo strumento privilegiato di controllo delle masse. Le persone governate attraverso la paura – oggi la gente delle periferie urbane spaventata dall’annunciato, minaccioso arrembaggio dei migranti – sono però più fragili, passive e manipolabili. Secondo Spinoza puntare troppo sulla paura genera – alla lunga – una instabilità politica, una nazione che diventa ingovernabile per tutti. La paura implica spesso un errore di valutazione riguardo al futuro. Ci occorre invece una conoscenza razionale dell’ambiente. Ecco, un dialogo come questo tra Deliolanes e Palmisano è un piccolo, solido contributo “spinoziano” a una conoscenza di tale genere.