Il Sì&No del giorno
Meloni ha gestito bene il caso Giambruno? Sì, ha reagito in maniera così decisa per scacciare via tutti gli avvoltoi

Nel Sì&No del giorno del Riformista, spazio al dibattito su una delle notizie di cronaca più discusse delle ultime settimane. La premier Giorgia Meloni ha gestito bene il caso Giambruno? Le ragioni del sì sostenute da Nicola Màdia, avvocato penalista. Quelle del ‘no’ da Ermelinda M. Campani, direttrice di Stanford Florence.
Di seguito l’intervento di Nicola Màdia
Si è dovuta muovere in un perimetro da cambiare, dominato dalla mala-informazione che conferma che il nostro Paese non ha ancora raggiunto livelli di civiltà analoghi alle altre Democrazie avanzate. La diffusione urbi et orbi di fuori onda, in cui il compagno della Premier e padre della sua piccola si lascia andare a contegni inopportuni e sconvenienti, costituisce autentico scempio di qualsiasi elementare valore su cui si fonda la nostra civiltà. Non è giornalismo pubblicare immagini riprese a tradimento di comportamenti che, come è ovvio per chiunque, diventano censurabili solo se esposti al pubblico ludibrio. Tutti quelli erettisi a poliziotti della morale, anziché indicare la ‘croce’ sulle spalle di chi li precede, dovrebbero riflettere sui propri comportamenti quotidiani, sul tenore dei dialoghi al telefono, sui post nelle loro chat di gruppo, per poi farsi un esame di coscienza, pensando alle conseguenze sulle proprie vite di una pubblicazione di quei contegni privati.
Divulgare brandelli di immagini, scollegati dal contesto di relazioni professionali e di amicizia, significa travisarne totalmente il significato con l’unico scopo, non già d’informare l’opinione pubblica, ma di squalificare un personaggio pubblico per appagare la sete di sangue di un alcuni frustrati che – per attenuare il proprio senso di inadeguatezza – godono nel guardare le fragilità di chi, con merito, fatica e impegno, ce l’ha fatta. Peraltro l’esposizione di comportamenti ridicoli e inurbani, magari autorizzati nella logica imperscrutabile di relazioni personali, finisce per colpire l’immagine anche di quelle donne che, in teoria, s’intendevano difendere. Infatti esse vengono portate alla ribalta del grande pubblico, non per i loro meriti professionali ma perché partecipi di un poco edificante siparietto.
Mi chiedo: stare seduti dietro una scrivania, in attesa del recapito del prossimo plico, contenente un altro fuori onda inviato da qualche manina in cerca di un po’ di consolazione per le proprie frustrazioni, si può definire attività giornalistica? Può nobilitare questa fondamentale professione? O piuttosto non delegittima chi s’impegna in inchieste sul campo, svolgendo vere attività d’indagine, autonome, senza aspettare comodamente carte e cartuccelle veicolate da Procure, Polizie e redazioni amiche? L’autentica missione del giornalista non dovrebbe essere di ricostruire la realtà, in totale autonomia, con vero spirito critico, senza pregiudizi e astenendosi da qualsiasi espediente narrativo volto a offrire un’immagine distorta e artificiosa dei fatti? Più che giornalismo, qui vive un sentimento di onnipotenza, che induce a indossare i panni di arbitri delle vite altrui, distruggendo famiglie e costringendo personaggi noti, investiti di altissime responsabilità, ad assumere decisioni definitive sulle loro vite, una volta resi pubblici fatti che, magari, erano stati ritenuti innocui o di scarsa importanza nel segreto della camera da letto, o che potevano restare sconosciuti, come normalmente avviene nei rapporti di coppia, quando uno dei partners si abbandona, fuori dalle pareti domestiche, ad atti inopportuni.
Ha fatto bene la Premier a reagire in maniera così decisa, non già perché ha interrotto (meglio, è stata costretta ad interrompere) la sua storia, ma perché così ha scacciato gli avvoltoi intenti a consumare un pasto con le membra della sua famiglia. Ma d’altronde, abbiamo visto pubblicato il video dell’arresto, in una struttura medica, della Giudice Saguto. Neanche la pietà e lo struggente gesto del figlio che tenta, invano, di proteggere la madre in un momento drammatico, che segna l’esistenza di un’intera famiglia, ha frenato quell’orda di reporter intenta a catturare la sofferenza e l’umiliazione altrui. Chi ha chiamato questi soggetti armati di telecamere? Possibile che non abbiano provato un minimo di empatia e di umana compassione verso quel figlio e quella madre, così da voltarsi e riprendere la retta via? Possibile che le forze di Polizia incaricate di eseguire l’arresto e, quindi, di tutelare il diritto in questo delicato frangente, non abbiano fatto nulla di concreto per proteggere privacy e dignità del soggetto debole, allontanandoli? L’unico antidoto contro questi fatti esecrabili sarebbe una Giustizia che sanzionasse in modo adeguato gli abusi. Le Leggi ci sono, ma spesso non vengono applicate da una magistratura ormai contagiata dal germe patogeno del populismo e ideologicamente compiacente. Sarebbe bello che magistrati e giornalisti recuperassero la loro autonomia di pensiero, e i secondi ricercassero notizie attraverso inchieste indipendenti, senza fare costantemente anticamera tra i corridoi delle Procure, ovvero aspettando in redazione il dossier quotidiano. Significherebbe che le donne e gli uomini che svolgono le professioni di giornalisti e magistrati sono cresciute come persone.
© Riproduzione riservata