Torniamo a ripeterlo: Milano o è metropoli, o non è. La questione sta nel fare capire in tutti i suoi centri di potere e di sviluppo che la città deve considerarsi senza confini, non può implodere in un recinto urbano senza senso storico. Milano è il suo hinterland. Deve considerarlo in ogni passo avanti, non solo il suo serbatoio di forza lavoro o il suo ammortizzatore popolare, ma parte integrante del territorio metropolitano. Non è solo una questione di collegamenti ed infrastrutture, ma di visione economica, di strategia urbana, di amministrazione. I Comuni confinanti, loro sviluppo compiuto o mancato, hanno ripercussioni su Milano in tempo reale e altrettanto il capoluogo ha la costante e urgente necessità di prolungare – non solo territorialmente – il prodotto della sua crescita.

Al centro c’è il concetto ( e l’istituzione) della Città Metropolitana. A rileggerne la storia viene il mal di testa, tra passi avanti e indietro, fin dal 1990. Erano anni in cui si comprendeva il bisogno di dare più respiro , influenza e autonomia ai grandi centri urbani, salvo poi essersi persi in una serie di tatticismi politici di basso profilo. Bene, ora è diventata un’urgenza, se non un’emergenza. E una volta per tutte, come affrontarla va chiesto a chi la viva in prima linea, cioè i Sindaci. Noi lo facciamo, con tre primi cittadini, diversi per schieramento politico, per storia. Paolo Giovanni Micheli, riformista, due volte eletto a Segrate, Francesco vassallo, amministratore dem di Bollate vicesindaco della Città Metropolitana attuale, Graziano Musella sindaco storico di Assago, esponete di quel centrodestra dei territori concreto e non ideologico.

Ambrogio

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