Il successo planetario delle personalità che promuovono una formula politica apparentemente paradossale, l’autoritarismo libertario, è probabilmente il fenomeno più sorprendente di un’epoca in cui assistiamo all’inesorabile crepuscolo dei valori liberali. In questo contesto, la maggiore conquista del secolo scorso – il grande patto sociale tra capitalismo e democrazia che ha dato vita allo Stato sociale – viene sistematicamente messa in discussione. Per il libertarismo radicale, il ruolo di indirizzo economico dello Stato va eliminato e la sua funzione redistributiva non è più una priorità. Ciò equivale a vietare ogni politica economica: il capitale e il mercato funzionano al meglio quando non sono ostacolati da considerazioni di giustizia o equità sociale. I libertari, in linea generale, ritengono che i criteri di giustizia distributiva debbano essere correlati al mercato e riflettere il contributo di ciascun individuo al prodotto totale. Di conseguenza, privilegiano la libertà individuale a spese di quella collettiva.

La fusione tra libertarismo e tendenze autoritarie

Sta però emergendo una nuova caratteristica, condivisa da figure come Donald Trump, Elon Musk e Javier Milei: la fusione tra libertarismo e tendenze autoritarie. Come i neoliberisti, i libertari sono scettici nei confronti dello Stato democratico, ma per ragioni diverse. Non lo considerano una minaccia per i mercati, bensì un ostacolo all’esercizio delle libertà individuali. I neoliberisti promuovono uno Stato forte per contenere le richieste di intervento pubblico e orientare gli strumenti amministrativi verso il rafforzamento delle dinamiche di mercato. I libertari, invece, sostengono una strategia che mira al contenimento dello Stato e al ritorno al libero mercato come meccanismo primario di allocazione economica.

legge, ordine e disciplina

I profeti del libertarismo non sono un fenomeno nuovo. Già ai tempi di Reagan e Thatcher il loro programma si riassumeva nel motto “starving the beast!” (“affama la bestia!”, cioè lo Stato). Ciò che è nuovo e preoccupante è l’ampliamento della base sociale libertaria negli ultimi decenni in tutto l’Occidente. È come se nelle moderne società stesse emergendo un nuovo carattere sociale: la personalità libertaria-autoritaria, un inquietante sottoprodotto della tarda modernità. Questa personalità condivide alcuni elementi con l’autoritarismo tradizionale, ma non si sottomette ai valori convenzionali come legge, ordine e disciplina.

La morte degli agnelli

È il risultato paradossale dell’individualismo dilagante e della proliferazione di gruppi settari che prosperano nei social media. I profeti del libertarismo autoritario non si conformano alle autorità istituzionali e costituzionali, né alle autorità sociali come esperti o rappresentanti del “mainstream”. L’unica autorità che riconoscono è quella di se stessi. Considerano la libertà un valore assoluto e rifiutano di limitarla per il bene degli altri. Questo li rende libertari, ma, al tempo stesso, li spinge a svalutare chi aderisce a concezioni diverse di libertà. Questa denigrazione aggressiva delle opinioni altrui, unita all’intolleranza verso le voci dissenzienti e alla stigmatizzazione del nemico, definisce i tratti di quella che i primi francofortesi chiamavano “personalità autoritaria”. Oggi, tale personalità si combina con una concezione della libertà ben espressa dal filosofo liberale Isaiah Berlin: “la libertà per i lupi spesso ha significato la morte degli agnelli”.

L’alternativa all’“establishment”

Molti esponenti dell’autoritarismo libertario si considerano vittime dei presunti usurpatori progressisti (i “cosmopoliti liberali di sinistra”), che accusano di aver conquistato il potere nello Stato, nelle università e nei media. Ciò alimenta un nuovo antagonismo: tra un’élite politico-culturale, vista come “radical-chic” ed estranea alla vita dei cittadini comuni, e una maggioranza popolare che il leader autoritario di turno rivendica come “vera” e di cui pretende di essere l’unico interprete legittimo. Questo leader, spesso autoproclamatosi “voce del popolo” – come fece Trump, che nel suo insediamento dichiarò che il suo arrivo rappresentava quello dei “cittadini della nazione” – si presenta come l’alternativa all’“establishment”. Questa combinazione di libertarismo economico e autoritarismo politico non equivale al fascismo tradizionale, statalista per definizione, ma rappresenta comunque un sintomo di quel “disagio” che affligge da tempo la democrazia liberale. Un fenomeno che non va sottovalutato.