In Cassazione non c’è scampo: anche se si portano prove nuove, verosimilmente importanti ai fini del giudizio, queste non vengono considerate. È utile saperlo per regolarsi di conseguenza.
In attesa di conoscere cosa farà Luca Palamara, oggi è in programma nella sede del Partito Radicale una sua conferenza stampa in vista delle prossime elezioni suppletive nella Capitale, la lettura delle circa duecento pagine della sentenza delle Sezioni unite civili offre molti spunti di riflessione.

Nella sentenza, depositata lo scorso mercoledì, con cui è stata confermata la rimozione di Palamara dalla magistratura, balza subito all’occhio come (non) sono state affrontate le questioni di diritto relative alle intercettazioni effettuate mediante il trojan inserito nel cellulare dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati.

L’argomento è dirimente in quanto, interessando da vicino anche l’attuale parlamentare di Italia Viva Cosimo Ferri, magistrato ed ex leader della corrente di destra delle toghe Magistratura indipendente, sarà discusso il mese prossimo dalla giunta per le autorizzazioni di Montecitorio. Il primo banco di prova per il governo Draghi in tema di rapporti fra politica e magistratura.
Il procedimento disciplinare nei confronti di Palamara ruotava esclusivamente intorno alle intercettazioni effettuate la sera dell’8 maggio 2019 all’hotel Champagne. Senza quelle intercettazioni, va detto, Palamara oggi sarebbe ancora un magistrato.

Quella sera, come è stato più volte ricordato, Palamara si intrattenne con i deputati Ferri e Luca Lotti (Pd), oltre a cinque consiglieri del Csm, per discutere della nomina del nuovo procuratore di Roma e del suo futuro professionale. Normale amministrazione, si potrebbe dire.

Per il Csm, invece, l’incontro era finalizzato a “condizionare” le scelte dell’organo di autogoverno della magistratura e a “screditare” il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e il suo vice Paolo Ielo che non avrebbero gradito, per vari motivi, una promozione di Palamara.

Quasi tutto il processo si è giocato sul fatto che, dovendo incontrare Ferri, un parlamentare con le sue guarentigie, il trojan doveva essere lasciato spento. La Procura di Perugia, il Csm, ed ora anche la Cassazione, hanno invece sottolineato la “casualità” dell’incontro.

Una conversazione fra Palamara ed il togato del Csm Luigi Spina del 7 maggio 2019 alle ore 23.19, metterebbe in discussione questa casualità. I due quel giorno si accordano per incontrarsi la sera del giorno dopo con “Cosimo”. Non essendoci altri con quel nome, è evidente che si tratti di Ferri. Questa conversazione era stata ascoltata dalla guardia di finanza alle ore 18:42 dell’8 maggio, quindi 5 ore e 25 minuti prima dell’incontro all’hotel Champagne.

La conversazione venne classificata dal maggiore del Gico Fabio Di Bellamolto importante”. Palamara, però, non lo saprà prima del 9 ottobre 2020, giorno in cui si conclude il suo processo disciplinare. Lo saprà solo dopo il 20 novembre perché l’avvocato Luigi Panella, difensore di Ferri la recupererà da un altro procedimento, trasmettendola così alla difesa di Palamara.
La Cassazione, però, ha ignorato questa circostanza, facendo “confusione”.

Piazza Cavour ha affermato nella sentenza che l’ascolto era già nella disponibilità di Palamara. Ma il documento depositato dalla Procura di Perugia a cui fa riferimento riguardava solo la “programmazione” del trojan, non le “smarcature”, cioè gli ascolti, quest’ultimo acquisito per “vie traverse” in quanto uno dei difensori, l’avvocato Panella, lo aveva reperito in altro procedimento.

La questione intercettazioni tocca, poi, un altro aspetto importante. Una recente sentenza della Cedu si è espressa sulla “riservatezza delle comunicazioni”. In estrema sintesi, l’autorizzazione all’utilizzo deve essere circoscritto ad attività aventi «per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo».

Quindi le intercettazioni telefoniche, o con il trojan, possono essere utilizzate soltanto per il contrasto a “reati gravi” e non per illeciti amministrativi o disciplinari. Come in questo caso. Ma anche su tale aspetto la Cassazione ha sorvolato.