Combattivo come prima e più di prima. Ecco Mario Santangelo (86 anni portati alla grande) pronto ad aprire fronti nuovi per un’assistenza più efficiente partendo dalla sua esperienza di un chirurgo a cinque stelle, direttore di un’importante dipartimento universitario, assessore alla Sanità, direttore generale del Pascale e politico di razza. Condivide le valutazioni dei colleghi Corcione, Calabrò e Gridelli, che nei giorni scorsi hanno suggerito al Riformista una serie di proposte per migliorare i Livelli essenziali di assistenza della Campania.

«Abbiamo molte difficoltà – avverte Mario Santangelo – perché la parte organizzativa è disastrosa. Corcione giustamente parla di organizzazione per l’abbattimento delle liste d’attesa chirurgiche, di un eventuale intervento della Regione per prelevare un’équipe che lavora bene e metterla dove può lavorare meglio. Giusto, ma non basta. A monte c’è il problema della distanza fra ospedali e il territorio che in Campania non è mai esistito. Lo prova il fatto che, se un cittadino va in ospedale, non c’è collegamento fra territorio e struttura ospedaliera. Un esempio? Fate degli accertamenti: analisi del sangue, tac o risonanza e andate in ospedale. Lì sono tutti ripetuti». Come dare torto all’ultimo assessore alla sanità della Regione Campania? La tessera sanitaria fotografa il “vuoto”: è in plastica ed elettronica, ma priva di dati sanitari. Serve in farmacia per lo scontrino parlante o alla macchinetta della tabaccheria per vendere sigarette. Si possono unire ospedali e territorio?

Santangelo lo spiega con delle considerazioni: «La sanità è unica e dovrebbe essere a misura dei malati. In Italia è organizzata secondo le esigenze del medico e del personale che lavora in strutture sanitarie. In ospedale i dipendenti, medici e infermieri, sono pubblici dipendenti; sul territorio abbiamo invece dei liberi professionisti che lavorano in convenzione. Lavoratori che hanno contratti particolari e un orario da rispettare. Ma non sono pubblici dipendenti. Così non va bene, questa è una stortura che condiziona il funzionamento del territorio: da ex assessore so che Governo e Regioni non hanno poteri sui liberi professionisti in convenzione».

Durante la pandemia da Coronavirus i medici di famiglia hanno criticato Asl e Regione per la mancata consegna di dispositivi di protezione: «Il medico di medicina generale guadagna più di un ospedaliero e si giustifica dicendo che con quei soldi paga lo studio, la segretaria, il computer – aggiunge Santangelo – Avrebbe dovuto procurarsi autonomamente i presidi di sicurezza, ma questo è il dettaglio di un problema nazionale che richiede la modifica della legge 833. Vecchia norma che il governo dovrebbe rimettere in discussione nei i confronti Stato-Regioni. Mi rendo conto che la mia proposta può scatenare una guerra all’interno della nostra corporazione. Sì, questa dei medici è una corporazione come quella dei magistrati, degli insegnanti, dei giornalisti, dei politici e di altre categorie».

Corporazioni che, nei piccoli centri, sono seguite con attenzione dai politici che le coccolano alla vigilia delle elezioni. «Un medico di famiglia ha contatti con 1.500 persone e da politico – ricorda Santangelo – so che tutti i governi si sono serviti dell’aiuto dei medici di famiglia. Altro problema sono le liste d’attesa: ieri un consigliere regionale è andato in ospedale per una colecisti: quasi un anno per l’intervento, ma pagando i mesi con l’intramoenia diventano giorni. Su questo dualismo delle attese sarebbe utile un dibattito». Santangelo non approva gli ospedali modulari realizzati per il Covid: «Il nuovo virus ha insegnato che la medicina deve essere flessibile: perché realizzare terapie intensive se poi non sai cosa farne? Puoi avere bisogno di posti letto e medici, bastavano i policlinici. Anche la formazione dei giovani colleghi deve cambiare. Chi poi farà il ginecologo, l’otorino o l’ortopedico deve saper lavorare in terapia intensiva anche se non rientrerà nel suo lavoro».

L’ex assessore ha occhi aperti sulle problematiche attuali e future, ma con un’ombra di pessimismo: «La prevenzione migliora, ma siamo condizionati dai personalismi. Serve coraggio e voglia di rimboccarsi le maniche per organizzare la sanità sui malati. Ma mi rendo conto che, se hai un figlio che va a scuola, ti interessa la scuola; se sei in buona salute, non ti preoccupi degli ospedali, del territorio e dell’intero sistema sanitario».