Quanto rumore fa il silenzio? In alcuni casi molto. Se parliamo di una città con un debito che supera i tre miliardi di euro, di un patto che avrebbe dovuto salvarla e di cui ora non c’è neanche più l’ombra e di partiti spariti, allora il silenzio diventa assordante. Certo, c’è tempo per far quadrare i conti: «La finanziaria si approva a fine dicembre – ha ricordato ieri Gaetano Manfredi – Stiamo lavorando per trovare la situazione giusta per Napoli». Ma le ultime vicende non promettono nulla di buono. Manfredi martedì è andato a Roma per incontrare il presidente del Consiglio Mario Draghi e consegnargli un lungo dossier sul Pnrr, sul piano per le assunzioni, sugli interventi per attrarre investimenti privati e sull’eterna incompiuta Bagnoli. Ma il sindaco di Napoli a Roma è andato anche e soprattutto per chiedere una soluzione in grado di salvare il Comune dal default e per avere lumi su quel patto per Napoli che l’aveva convinto a scendere in campo.

L’accordo, che aveva conferito a Manfredi la giusta dose di coraggio, non era stato siglato dal premier Draghi bensì da Giuseppe Conte, Enrico Letta e Roberto Speranza, quindi dai leader di soli tre partiti della maggioranza di Draghi. Qualcuno ci aveva creduto, altri no. Era sembrato subito un accordo molto debole, sostenuto da una parte politica esigua. La stessa che ora, di fronte ai primi scricchiolii di quella che sembrava l’alleanza in grado di salvare la città, tace. Nella bozza di manovra della prossima legge di bilancio, infatti, il Governo non ha al momento previsto norme speciali per scongiurare il dissesto di Palazzo San Giacomo, ma solo un fondo di appena 100 milioni da destinare a tutti i Comuni vicini al fallimento. Di quel patto per Napoli neanche l’ombra. E ora? Bella domanda. È un quesito al quale dovrebbero rispondere i firmatari del patto, ma al momento nessuno si è fatto vivo, nessuno di loro ha pronunciato mezza parola a riguardo. Conte, Letta e Speranza sembrano essere svaniti nel nulla.

Proprio loro che si erano precipitati in città per sostenere Manfredi durante la sua campagna elettorale. Proprio Conte che, insieme con Luigi Di Maio e Roberto Fico, era venuto a Napoli più di una volta e dal palco di Piazza Dante e da quello di Piazza Bellini aveva rassicurato tutti sulla serietà e sulla concretezza del patto. Forse qualcuno ha la memoria corta, non noi e – si suppone – neanche Manfredi. «È il momento di avere un sindaco che possa rilanciare la città – aveva tuonato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – Manfredi è una persona seria. Prima di candidarsi ci ha detto che da solo non avrebbe potuto ripianare un debito da cinque miliardi. Per questo è stato sottoscritto un patto per Napoli». Per questo, ora che non si parla di attuarlo, lui dovrebbe dire qualcosa. «Solo un patto per Napoli poteva dare una svolta: la situazione è complicatissima. C’è un dissesto finanziario pazzesco», aveva invece detto l’ex premier Conte.

E non bisogna dimenticare che, il 7 giugno scorso, fu proprio Gaetano Manfredi, nell’annunciare la propria candidatura, ad affermare che «il patto per Napoli è un impegno politico serio e sono molto fiducioso che si realizzerà». Chissà se si è pentito di aver riposto in quei partiti la sua fiducia. È facile immaginare il sindaco scendere dal treno, alla stazione di Roma, e comportarsi come Massimo Troisi in Ricomincio da tre: «Napoletano?»; «Sì»; «Emigrante?»; «No, speranzoso». Draghi e Manfredi non avranno parlato di Troisi durante il loro colloquio ma, nonostante tutto, il sindaco conserva la speranza: «Il presidente del Consiglio è molto vicino alla città e la ama, cosa che mi era ben nota – ha detto ieri a margine del sopralluogo alla Galleria Vittoria – e quindi sicuramente sarà vicino a Napoli e ai napoletani per far in modo che noi possiamo far ripartire questa straordinaria città». Che Draghi ami la città è senz’altro cosa buona e giusta, che i partiti tacciano lo è molto meno. Sono spariti dopo aver incassato la vittoria. E così, per il momento, restano la solitudine di Manfredi e i conti in rosso.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.