Commedia o tragedia? L’approvazione del rendiconto 2020, del documento unico di programmazione 2021-2023 e del bilancio di previsione del Comune di Napoli sarebbe tutta da ridere. E per scompisciarsi basterebbe riascoltare le dichiarazioni rese dal sindaco Luigi de Magistris ieri, al termine dell’ultima seduta del Consiglio comunale: «Garantiamo un bilancio tecnicamente molto buono». I numeri, però, dicono il contrario e restituiscono la fotografia di una città ormai agonizzante, indebitata fino al collo e devastata non solo dalla peggiore amministrazione comunale della sua storia ma anche da una politica inquinata dal consociativismo.

Ed è proprio da qui che bisogna partire. Ieri, infatti, il Consiglio comunale ha potuto discutere l’ultimo bilancio dell’era de Magistris grazie all’iniziale presenza in aula di 21 membri su 40. Tra questi anche esponenti (sulla carta) dell’opposizione come il leghista Vincenzo Moretto e il berlusconiano Armando Coppola. Ecco il primo dato politico: il Consiglio comunale si è potuto riunire solo grazie alla “disponibilità” di alcuni pezzi della minoranza. Il numero dei presenti è poi cresciuto. Tanto che molti si aspettavano una lotta senza esclusione di colpi sugli ultimi documenti contabili prodotti dall’amministrazione arancione.

Invece, se non fosse stato per il grillino “eretico” Matteo Brambilla che ha contestato rendiconto e bilancio nel merito, la seduta si sarebbe chiusa in pochi minuti: giusto il tempo di consentire a qualche consigliere di maggioranza di puntare il dito contro Roma (magistrale Elena Coccia, secondo la quale «in dieci anni si sono succeduti nove governi e nessuno di questi era amico di Napoli») e a qualche esponente dell’opposizione di spiegare le nobili ragioni che ispirano il suo impegno politico («Stare in Consiglio regionale è bellissimo a fine mese», si è lasciato sfuggire Marco Nonno che siede anche parlamentino campano). Alla fine i documenti contabili sono stati approvati a maggioranza e il commissariamento del Comune è stato scongiurato. Anche qui, però, c’è una nota di commedia: a votare contro sono stati, tra gli altri, i consiglieri di opposizione Salvatore Guangi, Anna Ulleto e Domenico Palmieri, cioè i tre che hanno più volte salvato de Magistris.

Ma la situazione finanziaria del Comune è «assai buona» come il sindaco vuole far credere? Non esattamente. Nel rendiconto, infatti, viene certificato un disavanzo di circa due miliardi e mezzo di euro. Le conseguenze di questo disastro sono presto dette: come chiarito anche dai revisori dei conti nella relazione allegata al consuntivo, la spesa del Comune di Napoli sarà bloccata per il triennio 2021-2023 perché vincolata alla copertura del disavanzo-monstre. In altre parole, se i debiti non saranno saldati al più presto, Palazzo San Giacomo potrà sostenere solo spese ordinarie, fare acquisti essenziali, pagare somme eventualmente disposte con sentenza e coprire altre passività. Dopodiché stop. E la vendita delle case popolari? È al palo, nonostante sia presentata come la principale leva del risanamento dei conti. Nel bilancio 2021-2023 il Comune prevede di incassare, per il solo 2021, circa 55 milioni di euro; peccato che, nel 2020, gli introiti legati alle dismissioni abbiano superato a stento i tre milioni.

Altra nota dolente è quella della riscossione dei tributi evasi o elusi: nel 2020 è stato incassato soltanto lo 0,9% delle somme accertate. Senza dimenticare che, su 72 milioni di euro da recuperare per quanto riguarda Imu-Ici, Tarsu-Tares, Cosap-Tosap e altri tributi, il Comune ha racimolato solo 697mila euro. Due le “ciliegine sulla torta”: dagli atti emerge il «ripetuto ricorso a fondi vincolati per il pagamento delle spese correnti» e una discordanza negativa netta di 85 milioni di euro tra i debiti e i crediti del Comune e quelli delle partecipate. Insomma, a dispetto dei proclami e dei 147 milioni di disavanzo recuperati nel 2020, il Comune di Napoli resta sull’orlo del crac: ecco la vera eredità che Dema e i suoi lasciano al prossimo sindaco e ai napoletani. Altro che «bilancio tecnicamente assai buono».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.