Il dossier di Openpolis sulle spese del Comune
Palazzo San Giacomo costa 83 milioni, ma funziona poco e niente

Con una spesa di 86,35 euro pro capite, Napoli è il Comune italiano che spende più di ogni altro per gli organi istituzionali. È ciò che emerge dall’analisi condotta da Openpolis sui dati del 2019. Così Palazzo San Giacomo, che non naviga certo nell’oro, ma anzi annaspa tra i debiti che ammontano a un totale di circa quattro miliardi di euro, è l’amministrazione che spende di più tra quelle con più di 200mila abitanti: nel 2019 ha sborsato più di 83 milioni di euro.
Il capoluogo partenopeo è seguito da un’altra città del Sud, Messina, che alloca in bilancio 53,08 euro pro capite. Certo, anche la città siciliana non spende poco, come per esempio fa Bologna che con 18,31 euro pro capite è la città più virtuosa, ma comunque sborsa molto meno, praticamente la metà, di Napoli. Una spesa così elevata per questa voce di bilancio fa pensare a una macchina comunale dal funzionamento praticamente perfetto. Invece non è così.
Gli organi istituzionali dei Comuni sono le strutture esecutive e legislative necessarie al funzionamento dell’ente. Nei bilanci c’è una voce interamente dedicata alle spese sostenute per tali organi, all’interno della missione “Servizi istituzionali, generali e di gestione”. In questa voce vengono incluse le uscite relative all’ufficio del sindaco, agli organi di governo a tutti i livelli dell’amministrazione, come consiglieri comunali e personale consulente, amministrativo e politico assegnato agli uffici del capo dell’esecutivo e del corpo legislativo.
Considerando che il Consiglio comunale di Napoli si rivela quasi sempre un flop e da tempo non riesce a decidere alcunché per la città, e che la macchina di Palazzo San Giacomo fa acqua da tutte le parti, quegli 83 milioni di euro rappresentano una cifra esorbitante. Insomma, i contribuenti napoletani pagano fior di quattrini per un’organizzazione, come quella guidata dal sindaco Luigi de Magistris, tutt’altro che efficiente. Dai trasporti alla gestione dei rifiuti, dalla manutenzione alla cura dei giardini pubblici, senza dimenticare la gestione del patrimonio pubblico, tutti i principali servizi offerti dal Comune sono scadenti e comportano a residenti, ospiti e imprenditori forti disagi.
Tra le varie voci di spesa compare anche il personale assegnato all’ufficio del sindaco. Il primo cittadino di Napoli, oggi aspirante governatore della Calabria, dispone di un numero spropositato di staffisti che ammontano a circa 22 persone (l’ex sindaco Rosa Russo Iervolino aveva nel suo staff non più di quattro persone). A questo si aggiunge il “deserto” degli uffici comunali, dove spesso manca il personale e, quando c’è, è incarnato da dipendenti ormai anziano e talvolta poco qualificati. Le ultime statistiche disponibili, infatti, riferiscono che all’interno del Comune di Napoli il 44,38% dei dipendenti ha più di 60 anni (la maggior parte degli impiegati ha tra i 60 e i 64), più del 45 ha un titolo di studio che non va oltre la licenza media, solo il 37,55 ha terminato la scuola media superiore e appena il 16,66 ha conseguito la laurea. Senza contare che la presenza di donne negli uffici del Comune è ridotta al minimo: solo il 30% dell’intero organico è composto da lavoratrici. È evidente che con questi dati la macchina comunale non potrà mai funzionare in modo efficace. Anche per questo il boom della spesa per il funzionamento degli organi istituzionali grida vendetta agli occhi dei contribuenti napoletani.
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