Lo scontro sul Recovery Fund è particolarmente acceso. Il Sud lamenta scarsa attenzione da parte del Governo, il presidente campano Vincenzo De Luca fa la voce grossa e il premier Mario Draghi spiega che le risorse ci sono, ma che le regioni meridionali non sono sempre in grado di spenderle. E non ha tutti torti: dei 311 milioni di euro inseriti nel Patto per Napoli sono stati emessi pagamenti solo per 40,45 milioni, pari ad appena il 13%. Dei progetti inseriti all’interno del programma di investimenti varato nel 2016, solo il 7% è stato realizzato, il 92 risulta ancora in corso: gran parte degli interventi si sarebbe dovuta concludere già da anni, mentre per un’altra sono stati investiti zero euro.

I dati sull’avanzamento della spesa dei fondi provengono dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) che tiene d’occhio la spesa dei fondi europei che le amministrazioni di casa nostra ricevono e dovrebbero essere in grado di investire. Il Patto per Napoli è stato firmato ormai cinque anni fa dal Governo nazionale e dal sindaco metropolitano Luigi de Magistris; in questo contesto la Regione ha solo funzioni di programmazione e di integrazione delle risorse che provengono dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) che è il principale strumento finanziario attraverso il quale vengono attuate le politiche per la coesione economica, sociale e territoriale al fine di azzerare gli squilibri all’interno nel Paese. Proprio per centrare l’obiettivo l’80% dei fondi è stato destinato al Sud e il restante 20% alle Regioni – e poi alle città – del Nord.

Milano, per esempio, ha beneficiato di una somma decisamente inferiore rispetto a quella ricevuta dal capoluogo campano, ma l’ha utilizzata meglio: dei 110 milioni di euro messi a disposizione attraverso il Fsc, il capoluogo lombardo ne ha spesi 55, cioè la metà. A Napoli, invece, è tutta un’altra storia: i fondi ci sono, ma non sono stati utilizzati dalla Regione né dal Comune di Napoli né da soggetti terzi che pure avrebbero potuto procedere alla realizzazione dei progetti la maggior parte dei quali fa comunque capo a Palazzo San Giacomo.

Il Comune di Napoli è il principale soggetto attuatore o, meglio, dovrebbe esserlo, considerando che in questi anni ha fatto veramente poco. Lo dimostra la documentazione, aperta a chiunque, presente sul sito “Opencoesione”. Come accennato, qualche riga più su, solo il 7% dei progetti è stato terminato. E gli altri? Per alcuni non è stato speso ancora nemmeno un euro. È il caso della riqualificazione dei percorsi pedonali tra la collina e il mare per ricucire la cosiddetta “città verticale”, attraverso la realizzazione di una green line: un progetto ambizioso che dovrebbe essere completato il 30 agosto di quest’anno, praticamente tra pochi mesi. Peccato, però, che dei 7 milioni e 296mila euro che il Comune aveva deciso di investire in quest’opera non ci sia traccia: zero pagamenti effettuati. Tra i grandi dimenticati c’è anche la rifunzionalizzazione della linea 6 della metropolitana Mostra-Mergellina: secondo la tabella di marcia di Palazzo San Giacomo, i lavori termineranno il 30 giugno, ma finora il Comune non ha speso neanche un centesimo dei 7 milioni programmati per questo intervento.

Tra i “progetti fantasma” rientra anche la manutenzione straordinaria delle funicolari, delle metropolitane e degli ascensori cittadini: tre milioni di euro da spendere per un’attività di cui la città ha un disperato bisogno, data di scadenza 31 dicembre 2020, soldi spesi zero. Anche questa volta nulla di fatto. Nel Patto per Napoli rientrava anche la riqualificazione di diversi asili nido, considerando che in Campania il 62% dei Comuni ne è sprovvisto e che solo il 36% dell’area metropolitana di Napoli ne dispone; sarebbe stato importante portare a termine gli interventi progettati, ma anche in questo caso milioni e milioni sono stati previsti e assegnati ma mai effettivamente investiti. La lista dei grandi incompiuti è ancora lunga: guardando solo ai numeri e tralasciando le discriminazioni vere o presunte, siamo sicuri che il problema siano le risorse e non l’uso che se ne fa?

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.