Pd, Leu e M5s hanno deciso di blindare Giuseppe Conte. E di spingere Italia viva nell’angolo. La mossa finale adesso tocca solo e soltanto a Matteo Renzi. La conta in aula al Senato e la crisi di governo sono a un passo. Dopo ieri sera è sempre più residuale la possibilità che Italia viva accetti il rilancio di “un nuovo patto di legislatura” proposto da Zingaretti visto che “una crisi di governo adesso sarebbe da irresponsabili”. Vorrebbe dire rinunciare alle dimissioni di Conte, accettare le modifiche che in un modo o nell’altro sono state apportate al Piano di ripartenza italiano, un “rimpastino” nella squadra di governo e confidare che questa volta la legislatura faccia quel cambio di passo che finora, pur tante volte richiesto, non c’è stato. Ma non è questo lo scenario che prende forma nelle tre ore in cui le delegazioni dei partiti di maggioranza si sono affrontate, in presenza e da remoto, ieri sera a Palazzo Chigi.
Anticipato e tenuto in caldo da una giornata di interviste, retroscena e dichiarazioni che sono servite a posizionare le pedine in campo – in pratica tutti contro uno, cioè Italia Viva – il vertice è iniziato alle 18 e 30. Unica delegazione presente è quella di Leu (Speranza, De Petris, Fornaro). Pd (Orlando e D’Elia) e Iv (Bellanova, Boschi, Faraone) sono collegati da remoto. I 5 Stelle schierano Bonafede, Castelli e Agea (collegati) mentre il sottosegretario Fraccaro è presente insieme con Conte e i ministri Gualtieri, Amendola, Patuanelli, Provenzano. Anche Franceschini è collegato. Tutti, chi più chi meno, chi accusando esplicitamente Renzi e chi no, durante la giornata avevano fissato un concetto chiaro: «Basta ricatti, adesso concentriamoci sulla ripartenza». Tutti, tranne Teresa Bellanova: «Conte capisca che questo governo è giunto al capolinea» era stato il benvenuto della capodelegazione di Italia viva prima del vertice.
È stata una riunione “puntuale e sul merito”. Con una lunga introduzione del ministro Gualtieri che finalmente, alla bozza numero 4, ha potuto mettere mano e testa al Piano fino adesso gestito dagli uffici. In breve: le risorse del Piano di ripartenza passano da 209 miliardi a 222. Crescono e di parecchio, i fondi per Sanità (da 9 a 18 mld), Istruzione e Ricerca, e poi giovani, Sud e turismo e Cultura (da tre a 8 miliardi). In generale gli investimenti passano al 70% del totale e gli incentivi (i bonus) si fermano al 21%. Percentuali molto diverse da quella prima bozza del 7 dicembre (50 e 30). Infatti, con questa nuova impostazione, l’impatto sulla crescita sale dal 2,1 al 3 per cento del Pil.
Ma è proprio il merito che, secondo Italia viva, manca. Ancora una volta. «Non c’è ancora il cambio di passo che noi, ma anche voi colleghi, avete chiesto» ha commentato Bellanova. «E poi, scusate, per tornare al metodo: come si può dare un giudizio serio quando ci avete dato 14 pagine contro le circa 200 di quelle previste?». Il Mef, infatti, ha distribuito solo 14 pagine e non l’intero dossier. Si tratta di tabelle. Nulla sulla riforma della pubblica amministrazione e della giustizia, i due dossier che più di tutti Bruxelles chiede di aggiornare perché sono quelli che più frenano il sistema Paese. Per non parlare di Mes («dovete dire Sì o no»), intelligence, sud, giovani. «Non è una riscrittura ma un’operazione maquillage» è il commento di Italia viva. Sulla voce “Sud” sono stati trasferiti più soldi, è vero. Ma «è solo una partita di giro». Tanto che Raffaele Fitto, co-presidente del gruppo europeo Ecr-Fratelli d’Italia, ha pronta un’interrogazione alla Commissione Eu per denunciare la distrazioni di soldi dai Fondi europei di coesione (Fsc) che sono già assegnati al Mezzogiorno. Se fosse vero, sarebbe una brutta smentita per Gualtieri, Amendola e Provenzano.
A proposito di fiducia nella “svolta” e nel “patto di legislatura” messo sul tavolo da Zingaretti per andare avanti, arriva una severa nota di Raffaella Paita (Iv), presidente della Commissione Trasporti. Sulle grandi opere che dovevano essere sbloccate otto mesi fa grazie al decreto Semplificazioni tra osanna e note di giubilo, siamo ancora all’anno zero. Motivo? Mancano ancora i commissari.
Senza, non aprono i cantieri, non ci sono le semplificazioni e le grandi opere, volano di crescita e occupazione, sono ancora ferme. Renzi ha subito ritwittato il post di Paita. Su quali basi una nuova apertura di credito adesso?
Tutte le forze di maggioranza, prima e durante il vertice, hanno rivendicato i miglioramenti. Pd, Leu, persino i 5 Stelle. Peccato che senza lo stop di Italia viva il 7 dicembre la prima bozza, quella con la cabina di regia che esautorava ministeri e enti locali, che dava 9 miliardi su 209 alla Sanità e solo tre miliardi a Turismo e Cultura, sarebbe stata approvata nel Consiglio dei ministri del giorno dopo. Da allora siamo arrivati alla quarta bozza. «Molte cose sono state accolte e il piano è migliorato. Con spirito costruttivo si può trovare un accordo» ha spiegato Federico Fornaro che sa come sarebbe sbagliato mettere Renzi in un angolo e costringerlo allo showdown. Ma anche lasciare le cose così come stanno. Il voto anticipato è uno scenario non ipotizzabile. Tanto quanto andare avanti con i voti di qualche Responsabile. La prospettiva di Conte in aula a contare i voti è sempre più concreta. «Se Conte ci sfida – precisa Ettore Rosato (Iv) – andremo in Senato e vedremo chi ha ragione sul piano dialettico e su quello numerico».

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.