È stata la migliore Mostra del Cinema della nostra vita? Per le nuove generazioni, le meravigliose ondate di giovani e giovanissimi che per dieci giorni hanno sfrecciato da una sala all’altra del Lido, probabilmente sì. Per i veterani frequentatori, che hanno avuto la fortuna di assistere alle memorabili edizioni con Antonioni, Rossellini e Visconti, Kurosawa, Resnais e Tarkovskij, probabilmente no. Ma anche loro, probabilmente riconosceranno sia stato il più bel festival internazionale da non pochi anni a questa parte, Cannes e Berlino compresi. Per la classe politica, distratta e poco rappresentata, il problema non si pone.

Oggi è il giorno in cui finisce la 78esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, la sera di assegnazione del Leone d’Oro, la data in cui si festeggia la rinascita del mondo cinema (speriamo duratura e non solo apparente), cui il dramma pandemico ha concesso una insospettabile linfa nuova. Andiamo per ordine. Il film di chiusura, fuori concorso, è Il bambino nascosto di Roberto Andò, Silvio Orlando protagonista. Stasera la proiezione ufficiale, a conclusione della cerimonia di premiazione presentata dalla madrina Serena Rossi. Sarebbe bello se il presidente di giuria Bong Joon-ho rispettasse la scaletta, a differenza del collega pasticcione Spike Lee che a Cannes aveva annunciato la Palma d’Oro con una oretta di anticipo.

La parola ai giurati resta un magnifico film di Sidney Lumet, del 1957. Perché è sempre molto difficile, e spesso controproducente, provare a capire anzitempo quali siano i nomi dei premiati, pronunciati sulla ribalta della Sala Grande. Vai a sapere cosa possa pensare il nostro Saverio Costanzo del film di Jane Campion. O l’attrice inglese Cynthia Erivo (memorabili le sue corse mattutine, in tenuta ginnica multicolor) dello Scarpetta di Martone-Servillo. Meglio i francesi, i messicani o l’indie americano? Cosa sarà piaciuto alla giurata premio Oscar Chloe Zao? Nel 2020 il suo Nomadland venne presentato a fine rassegna. E vinse il Leone. Difficile possa succedere anche quest’anno, con gli ultimi arrivati On The Job: The Missing 8 e Un autre monde, rispettivamente 20esimo e 21esimo titolo del concorso. Specie in una gara di così alto profilo, è facile che una idea di palmares, negli ultimi giorni già sia stata abbozzata dai sette giudicanti. E che il nome dei destinatari dei premi maggiori (oltre a quello d’Oro, ci sono anche i due Leoni d’Argento), stiano in un cassetto chiuso a chiave.

Fra gli ottimi cinque italiani, Il buco di Michelangelo Frammartino (ricostruzione documentaristica di una esplorazione speleologica. Miracolosamente “girata in paradiso”, dall’infernale abisso del Bifurto, a 700 metri di profondità) è più festivaliero di Freaks Out e Qui rido io. Meno personale del bellissimo È stata la mano di Dio. Meglio riuscito di America Latina. Madres paralelas di Pedro Almodovar e L’envenement di Audrey Diwan, hanno il profilo giusto per un riconoscimento importante. Sono entrambi molto belli, femminili e femministi. Pedro è un cineasta affermato, Diwan una scoperta. Pareggiare la Palma di luglio a Titane della Ducournau, con il Leone d’Oro a una regista, potrebbe essere una forte tentazione. L’ucraino Vidblysk di Valentyn Vasyanovych è compiaciutissimo, ma la materia etica ha sempre il suo peso. Vale lo stesso per altri due titoli est europei.

Imperfetti, ma solidi e molto meno tranchant: il russo Kapitan Volkonogov Bezhal di Merkulova e Chupov e il polacco Zeby Nie Bylo Sladow di Matuszynski. L’imbarazzo della scelta è anche per le Coppe Volpi, ai migliori attori. Signore: Olivia Colman (The Lost Daughter), Penelope Cruz (Competencia oficial), Kristen Stewart (Spencer), Anamaria Vartolomei (L’evenement). E signori: Benedict Cumberbatch (The Power of the Dog), Elio Germano (America Latina), Toni Servillo (Qui rido io). Il più bel cast al femminile è quello di Madres paralelas (Cruz + Milena Smit). Al maschile invece, Competencia oficial (Antonio Banderas + Oscar Martinez). Il Premio Marcello Mastroianni al migliore interprete emergente ha fatto decollare carriere: Gael Garcia Bernal, Jennifer Lawrence, Jasmine Trinca. Quest’anno ci provano i giovani Hatzin Navarrete (La Caja), Filippo Scotti (È stata la mano di Dio), Tomasz Zietek (Zeby Nie Bylo Sladow).

A prescindere dai premi, molto importanti ma non fondamentali, la sensazione è che questa edizione veneziana abbia traghettato gli spettatori a una stagione di notevole vitalità artistica. Per il cinema italiano, senza dubbio. Come per i grossi autori, che non hanno fallito, al di là dei sempre inutili paragoni con la loro precedente produzione (The Power of the Dog della Campion, per intenderci, è un’opera di valore senza permettersi i vertici di Lezioni di piano). Idem per le nuove leve, da cui è lecito avere aspettative. È stato difficile imbattersi in un cattivo film in concorso e facile trovarne di molto buoni in altre sezioni (Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, La scuola cattolica di Stefano Mordini, per limitarsi a certa produzione nostrana). A freddo si corre il rischio di peccare di ottimismo e sarebbe bene riparlarne tra un po’.

Un termometro più diretto però, sul funzionamento della macchina, è il corollario di star arrivate al Lido. Lontano dagli snobismi radical di certa cinefilia spinta, divi e dive garantiscono sempre una maggiore intensità luminosa. Fra i papabili, tutti (o quasi) sono arrivati. Persino Ben Affleck — qui il cinema lascia spazio al gossip — senza indugio è arrivato a Venezia con la nuova-vecchia-sempre stupenda fiamma Jennifer Lopez. Timothee Chalamet, il meglio vestito nelle occasioni che contano, ha attentato alle norme no-assembramenti, scatenando putiferio tra i fan al tappeto rosso del suo Dune. Tanto pubblico, in una bolla anti Covid che sembra avere retto (come del resto successe anche lo scorso anno. Ma c’era meno gente). Molte persone, insieme e in sicurezza, è un obiettivo da perseguire, per il bene di tutti. E quindi, a Venezia, uscimmo a riveder le stelle.