Il caso dei consiglieri di amministrazione giallorossi che a viale Mazzini voltano le spalle all’Ad Carlo Fuortes, votando contro il bilancio, non si esaurisce. Solo il voto a favore – in extremis – dei consiglieri eletti con il centrodestra, in questa giostra tutta politica, ha scongiurato il peggio: che la Rai affrontasse la fase dell’elezione del Capo dello Stato, fino ad arrivare al suo evento più strategico, il Festival di Sanremo, con i vertici sfiduciati. «Bocciare il bilancio in una società equivale a sfiduciare chi lo ha presentato. Non mi aspettavo proprio che nel Cda Rai a riservare questo trattamento all’Ad Carlo Fuortes fossero i consiglieri Pd e 5 Stelle».

Il tweet di Claudio Petruccioli è stato tra quelli che hanno fatto più rumore. Perché lui, dirigente di punta a Botteghe Oscure per lunghi anni, vanta una formazione rigorosa. Quella messa alla prova con cinque legislature in Parlamento e quattro anni come Presidente della Rai. E che lo porta a prendere le distanze da condotte difficili da interpretare al di là delle prove di forza muscolari.

Petruccioli, è stata una ritorsione questa bocciatura del bilancio, peraltro non tutto ascrivibile al periodo di entrata in esercizio di Fuortes?
Come ho scritto su Twitter, è stata una cosa che non mi aspettavo. Non mi avventuro in letture dietrologiche. Per quanto riguarda la governance, io ho lasciato la Rai tredici anni fa. Scrissi un rapporto, una relazione consuntiva che conteneva le raccomandazioni, le conclusioni del mio mandato.

Indicazioni disattese?
Assolutamente, nessuno ha voluto farsene carico.

Il tentativo di riordino di Renzi, è stato utile?
Di tante cose buone che ha fatto Renzi, quella della Rai è la riforma meno riuscita. Ha forse involontariamente finito per aumentare il peso dei partiti e quello del governo. La legge Gasparri che fissava i 2/3 del voto della Vigilanza come voto di gradimento per il Presidente. Io avevo chiesto che il gradimento dei 2/3 andasse all’Ad, che ha più potere. Invece adesso praticamente Ad e Presidente li nomina il governo, e questo non va bene.

Qual è la sua indicazione?
Ho sempre creduto che il modella della governance deve essere quello della Bbc. Con una gestione aziendale affidata agli interni più competenti e preparati, tra i più esperti. Con un comitato di garanzia che riguarda i programmi soprattutto d’informazione. Altra cosa molto importante: va consentito un tempo un po’ più lungo per chi ha responsabilità di gestione. Il mandato di tre anni è troppo corto. Già sarebbero pochi per chi dovesse provenire dall’interno dell’azienda. Figuriamoci per chi arriva da fuori.

Dal punto di vista politico, il M5S e il governo Conte, nel suo triennio di governo, non ha mai messo mano a nessuna riforma Rai.
I Cinque Stelle quale idea hanno mai avuto, della Rai? Hanno detto di voler entrare in Parlamento per aprire la scatoletta di tonno, per la Rai credo abbiano pensato di abolirla, di distruggerla. Non mi ricordo più tutte le cose che hanno detto sulla Rai, e francamente non me ne importa niente. Non hanno riformato quando ne avevano la possibilità, dice? Mi fanno venire in mente la protagonista del romanzo La Romana di Alberto Moravia. Prima la violentano e poi la indicano come fosse una prostituta.

Difficile imporre ai partiti un passo indietro…
Bisognerebbe essere stati dentro la Rai con spirito libero, come ho fatto io, per capire che avrebbe tutto da guadagnare come azienda e come servizio pubblico se la presa della politica si allentasse. Ci vogliono strumenti di garanzia e di vigilanza affinché l’autorità pubblica mantenga la responsabilità sul servizio pubblico televisivo, ugualmente a quello che è il servizio pubblico scolastico, sanitario, etc. ma senza questa morsa dei partiti sulla governance.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.