Il colore del 2021? Il verde. Transizione verde, energia verde, tecnologie verdi. O green – l’inglese, di solito, funziona meglio. E infatti nessuno o quasi parla di certificato verde. Meglio green pass; o, per andare ancora oltre, Green Pass, con le iniziali maiuscole. È la certificazione verde a colorare, indelebilmente e soprattutto inevitabilmente, il nostro tempo, con tutte le difficoltà del caso. Da vecchi comici colti in flagrante con green pass fasulli a tumulti di piazza che mettono a dura prova l’ordine pubblico, il Green Pass è nell’occhio del ciclone, con diversi venti che soffiano da direzioni contrarie e contrastanti. Da una parte la dimensione personale, la tutela della salute e della privacy, assieme a quella relazionale, che incrocia per forza di cose, dall’altra parte, la sfera del lavoro – tra diritto di impresa e regolamentazione delle attività del lavoratore.

Se ne è parlato durante il primo incontro di un ciclo di Digital Talk organizzati dalla Fondazione Ottimisti&Razionali e da Il Riformista. Ne “I confini del Green Pass” – questo il titolo del Talk del 4 novembre – sono stati superati i confini nazionali per arrivare all’Europa, se non al mondo. La libertà ha risonanza planetaria, pensiamo alla nota blogger confinata in un carcere cinese, rea di aver tentato di documentare quanto accaduto a Wuhan; e la sfera europea, più sensibile, in un certo senso, a certe tematiche relative alla libera informazione, soffre della disomogeneità delle risposte nazionali. Ad ora, dallo “strumento” Green Pass è emersa una natura “flessibile” e, soprattutto, la sua utilità nel creare quella “spinta gentile” alla vaccinazione, spinta che ha interessato i più indecisi e impauriti. Come ha ricordato Francesco Vaia, Direttore Inmi L. Spallanzani, questo strumento deve necessariamente essere adeguato a ciò che accade e deve essere pronto a fronteggiare le nuove varianti e le evoluzioni della diffusione del contagio.

Certo è quanto afferma il Garante, che sul Green Pass si è espresso favorevolmente invitando, tuttavia, a «evitare conseguenze discriminatorie, anche indirette, nel contesto lavorativo». Guido Scorza, componente dell’Autorità Garante della Privacy, ha ricordato come sia necessario trovare un punto di incontro fra diritto alla privacy, diritto alla salute e diritto alla ripresa delle attività economiche. In una società che è reduce dal voto sul Ddl Zan e, nel mentre, si divide tra due schieramenti (quello dei No Vax, relativamente corposo, e quello che potremmo chiamare Yes Vax), le “conseguenze discriminatorie” sono facilmente ipotizzabili. Certo, questo tiro alla fune tra No Vax e Yes Vax potrebbe essere risolto se si riuscisse a convincere tutti che «le vere armi saranno farmaci e vaccini», perché – come segnalato da Gianluca Ansalone, Novartis Italia – «la dimensione geopolitica legata al tema dei vaccini esiste e si deve provare ad analizzarla».

E come si fa a prescindere dal motivo politico? Non è forse politico il motivo che sta alla base del mancato ricorso all’obbligo vaccinale? L’avv. Ada Lucia De Cesaris ha sottolineato come tale decisione possa essere giustificata solo facendo riferimento, appunto, alla sfera del politico. Dello stesso avviso il prof. Francesco Clementi, che ha anche sollevato la questione della proroga allo stato di emergenza – attualmente in vigore fino al 31 dicembre 2021. Tale proroga consentirà, secondo il Professore, di mantenere i tempi decisionali nei tempestivi standard europei. Aperto, e al momento difficilmente risolvibile, il conflitto tra Green Pass e lavoro subordinato.

Certo, il ricorso al certificato è inevitabile ma resta comunque un nodo difficile da districare quello relativo alla risposta sanzionatoria “personalizzata” a ogni condotta ritenuta non corretta. Il Green Pass è uno strumento necessario, ma non privo di criticità sotto diversi aspetti, come privacy e lavoro. Stabilire le priorità è un’operazione complessa, il dibattito è ancora in atto e non si placherà in tempi brevi.