Questo processo non avrebbe mai dovuto esistere. Perché fin dalla sentenza “Tirreno”, divenuta definitiva nel 2004, era emerso che, se pure i corleonesi avevano avvicinato gli uomini della ‘ndrangheta per una comune strategia stragista, la “trattativa” non ci fu, perché gli uomini di Piromalli respinsero la richiesta al mittente. Pure il processo “trattativa-bis” va avanti, e siamo alla fine del secondo grado. Si presume la camera di consiglio sarà il prossimo 20 marzo.
Era attesa per il dieci marzo la sentenza del processo “’Ndrangheta stragista”, fotocopia del fallimentare fratello gemello di Palermo, e che si sta celebrando in appello a Reggio Calabria. Era attesa, ma un piccolo aiutino pare essere arrivato all’accusa del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo proprio il giorno precedente, quando i carabinieri hanno arrestato 49 persone, con un’operazione definita, alla faccia della legge Cartabia che vieta i nomignoli alle inchieste, “Hybris”. E da un’ordinanza di quelle misure di custodia cautelare spunta un’intercettazione che pare dare appunto l’aiutino di cui l’impianto traballante del processo aveva un gran bisogno. Si tratta della conversazione tra una persona di nome Francesco Adornato, non indagata ma ritenuta vicina al boss Piromalli solo per una comune condanna del 1980, ha parlato del summit al resort Saionara di Nicotera in cui la ‘ndrangheta secondo lui avrebbe accettato di associarsi a Cosa Nostra nella strategia delle “stragi di Stato” degli anni novanta.
L’intercettazione, che risale al gennaio 2021, in realtà non dice nulla di nuovo, e non coinvolge direttamente il vero capo della ‘ndrangheta del tempo, cioè Momo Piromalli, che non risulta presente al summit. “..lo avrebbe rappresentato Nino Testuni…è stato a suo tempo Nino Testuni che avrebbe risposto anche per lui…ha sostenuto che bisogna attuare le stragi di Stato”. Stragi di Stato? Così i mafiosi definiscono la propria attività criminale? E poi, che cosa c’è di sorprendente se ci si riferisce a un episodio già citato da un “pentito” ma tre anni prima? Era stato infatti il collaboratore di giustizia Franco Pino a citare il summit nel 2018, quando la Direzione antimafia di Reggio Calabria presieduta da Federico Cafiero de Raho aveva dato impulso alla nascita del teorema “’Ndrangheta stragista”. L’incontro tra i boss calabresi e quelli di Cosa Nostra al resort Saionara avrebbe dato l’imprimatur alla stagione calabrese delle “stragi di Stato” nel quadro della trattativa per far modificare il regime carcerario del 41-bis ai mafiosi. State attenti, avrebbero detto gli uomini di Riina ai “colleghi” della ndrangheta, perché prima o poi lo applicheranno anche a voi. Strano vertice, però.
Perché il capo dei capi Piromalli non c’è, e “parrebbe” aver dato una delega in bianco a un certo Nino Testuni, che sarebbe in realtà il boss Nino Pesce di Rosarno. E un altro capo mafia calabrese, Luigi Mancuso detto “il Supremo” si dichiara in disaccordo , perché, dice “non dobbiamo andare a sparare”. E così sarebbe andata, visto che lo dice anche una sentenza definitiva. Anche questa “trattativa” è una bufala. Questa intercettazione, che spunta oggi proprio il giorno precedente a quello previsto per la fine del processo, sarebbe la prova mancante, una sorta di pistola fumante, rispetto alle rivelazioni del “pentito” Franco Pino. Che dice e non dice, e pare sempre rendersi gradito al pm. (Piccola nota autobiografica: Franco Pino è il “pentito” che nel 1996 accusò Vittorio Sgarbi e me di voto di scambio, in seguito a una nostra visita in un carcere della Calabria in cui erano detenuti sia lui che il boss Piromalli. Il tema dello “scambio” era proprio la riforma dell’articolo 41 bis. Dopo otto mesi noi siamo stati prosciolti su richiesta della Dda, e questo dimostra l’attendibilità del collaboratore).
Quello che non va dimenticato è come nasce questo processo “’Ndrangheta stragista”. È la filiazione di “normali” inchieste di attentati a carabinieri, già giudicati come fatti di criminalità locale. Uno in particolare, quello in cui persero la vita Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, il 18 gennaio del 1994. Nessun dubbio sugli esecutori materiali, due malavitosi locali, già condannati da tempo. Ma è l’impulso della Dda di Reggio Calabria a riaprire le indagini nel 2017 e a rimescolare le carte, con partenza a raffica di intercettazioni e gare di “pentitismo”. Cambia velocemente prima di tutto il movente, che non può più essere ordinaria lotta tra guardie e ladri. E occorrono anche i mandanti, che devono assumere almeno un livello regionale. È a questo punto che la “trattativa” siciliana viene travasata d’impeto in terra calabrese. I mandanti del duplice omicidio vengono individuati nel boss mafioso di Brancaccio di Palermo Giuseppe Graviano e in quello di ‘ndrangheta Rocco Santo Filippone in rappresentanza della cosca Piromalli di Gioia Tauro.
Una volta che si è alzato il tiro, immediatamente anche i due malavitosi responsabili dell’omicidio, rispetto ai quali questa sono faccende ben più alte, si sono immediatamente adeguati, cambiando versione dei fatti e soprattutto del movente. Non si sarebbe trattato di un fatto locale, ma di una sorta di regalo della ‘ndrangheta calabrese ai cugini siciliani perseguitati dall’Antimafia. E si sarebbero programmate insieme, a quel punto le stragi del 1993 e 1994, e anche “l’omicidio di un ministro”. Ma è la chiusura del cerchio, perché mettendo nel pacchetto “trattativa” anche l’attentato ai carabinieri del 18 gennaio 1994, si prolunga la stagione delle stragi fino alla nascita di Forza Italia e all’entrata in politica di Silvio Berlusconi. Dopo di che non ci sarebbe più bisogno di stragi.
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