Tra le molte cose che il pubblico ministero romano Luca Palamara dice nel corso della sua “audizione” alla trasmissione Non è l’Arena di Massimo Giletti, una sembra “scivolare”, e invece merita una riflessione. E invece, proprio oggi che un po’ tutti parlano di riforma radicale della giustizia, utile sarebbe non smarrire la memoria. Non fosse altro per acquisire una volta tanto la consapevolezza che i partiti politici spesso hanno cercato di usare magistratura e inchieste; ma molto spesso sono stati i magistrati, superando i loro singoli orientamenti, a fare “partito”, di volta in volta utilizzando chi si prestava al “gioco”. Palamara, nella trasmissione di domenica scorsa, parla della bocciatura da parte del Consiglio superiore della magistratura di Giovanni Falcone, candidato all’Ufficio Istruzione di Palermo. Gli viene preferito, con il criterio dell’anzianità, Antonino Meli. Peccato che in precedenza quella “regola” non venne applicata: il posto di procuratore a Marsala è dato (giustamente), per meriti a Paolo Borsellino, nonostante in corsa ci fosse un altro magistrato, con pratica “minore” di antimafia, e però maggiore anzianità. È questo, nell’essenza, il quesito posto da Leonardo Sciascia con il famoso articolo sui Professionisti dell’antimafia: regole come pelle di zigrino, che si allungano o si accorciano a seconda della bisogna.

Palamara osserva che anche in quell’occasione, in seno al Csm, si vota secondo logiche (s)partitorie, come del resto quasi sempre avviene. Per Meli, votano (voto palese, con dichiarazione di voto pubblica. Chi come chi scrive quel giorno è lì: ricorda bene la tensione e i vari magheggi nelle stanze attorno all’aula del Plenum intitolata a Vittorio Bachelet): Francesco Mario Agnoli, Giuseppe Borrè, Antonio Buonajuto, Giuseppe Cariti, Felice Di Persia, Vincenzo Geraci, Nicola Lapenta, Sergio Letizia, Marcello Maddalena, Umberto Marconi, Franco Morozzo Della Rocca, Elena Paciotti, Sebastiano Suraci, Gianfranco Tatozzi. Maddalena: magistrato in Torino, di orientamento conservatore-giustizialista, da sempre buon amico di Marco Travaglio (hanno anche scritto un libro a quattro mani, Meno grazia, più giustizia). Di Persia: uno di quei magistrati saliti alla ribalta per via dell’affaire Tortora; eletto al Csm anche sull’onda di quell’inchiesta.

Giuseppe Borrè ed Elena Paciotti: militano entrambi in Magistratura Democratica, la corrente di sinistra dell’Associazione nazionale magistrati. Paciotti, scaduta dal Csm è candidata ed eletta dal Pci al Parlamento europeo. Questo per non smarrire la memoria, tenere presente chi sono e cosa fanno gli “attori” di quegli anni; e anche per ricordare come di volta in volta si componevano e scomponevano i “fronti”. A favore di Falcone, votano: Antonio Abbate, Massimo Brutti, Pietro Calogero, Giancarlo Caselli, Fernanda Contri, Vito D’Ambrosio, Mario Gomez D’Ayala, Stefano Racheli, Carlo Smuraglia, Guido Ziccone. Si astengono: Bartolomeo Lombardi, Cesare Mirabelli (all’epoca vicepresidente del Csm), Renato Papa, Erminio Pennacchini, Vittorio Sgroi.

Quattordici voti contro; dieci voti a favore; cinque astenuti. Se non solo Geraci (componente del pool antimafia palermitano), ma anche i due di Magistratura Democratica avessero votato Falcone, il risultato si sarebbe ribaltato: undici contro, tredici a favore.
Ma almeno, come si è detto, il voto, le dichiarazioni di voto, le “trame” dietro quel voto, sono pubbliche. Chi ha vissuto quel giorno, può raccontarlo. Falcone – e qui si entra in una vicenda ancora più grave della precedente – per la corrente dei Verdi si candida al Csm. Viene sonoramente bocciato. Dai suoi colleghi, che non sono il ristretto “sinedrio” del Csm. Sono i suoi colleghi: quelli con cui lavora gomito a gomito ogni giorno, lo conoscono, sanno chi è, cosa fa, cosa intende fare.

Nel segreto dell’urna, vigliaccamente, senza dichiarare voto a favore o contrario, lo accoltellano alle spalle. Quei colleghi che lo hanno accoltellato nel segreto dell’urna non sono certo migliori di quelli che a viso aperto lo hanno bocciato al Csm. Il marcio (se così lo si vuol definire) di oggi viene da lontano; un verminaio esteso e consolidato. Dunque si crocifigga pure Palamara; gli si faccia pagare anche quello che attiene alla sua sfera privata, e che non ha alcuna rilevanza penale. Nessun problema. Ma che nessuno sia così ipocrita, tra i tanti magistrati e giornalisti, da dire: non sapevo, ignoravo, sono sorpreso. Questo, proprio, no.