Sandro Pertini, all’atto di giurare come Presidente della Repubblica nel 1978, precisò che da quel momento avrebbe cessato di essere “uomo di parte”. In questi giorni siamo stati bombardati dalla precisazione – impiegata spesso senza attenta valutazione – della ricerca di un profilo “super partes” da eleggere Capo dello Stato. Si tratta di un approccio del tutto improprio. Non solo perché i Presidenti della Repubblica non provengono da un albo di soggetti “neutrali”, ma hanno fatto parte e continuano dopo il mandato (da senatori a vita) a far parte del sistema politico e istituzionale.

L’impressione è che la nostra classe politica sia del tutto avvolta nella logica della ricerca costante del consenso elettorale anche quando non sono in vista elezioni a breve, nell’immersione quotidiana della misurazione del consenso, assecondata da buona parte dei media che propongono frequenti rilevazioni caratterizzate da eccitanti (per gli altri) segni + o – accompagnati da un numeretto. In questa logica oggi, come le 2013, i partiti erano impegnati non tanto ad eleggere il Presidente della Repubblica ma a uscire dall’elezione con un segno più o anche eguale, quasi fosse un voto come altri quello sottoposto al lungo rituale dello scrutinio segreto in presenza di oltre mille persone per scegliere il Capo dello Stato. Non si tratta di negare il ruolo dei riti, figurarsi poi quelli costituzionali dettati da regole, ma di saperli interpretare e coglierne la funzione; cosa, questa, che la settimana scorsa è stata ampiamente svalutata dal balletto del consenso a tizio o a tizia (stendiamo un velo pietoso sulla gestione della parità di genere in questa vicenda…) in funzione del borsino sondaggistico dei partiti.

La soluzione Mattarella, ottima sotto molti punti di vista, è stata forse per alcuni una scelta anche perché non pregiudicava nessuno dal punto di vista elettorale, almeno sulla carta. Tutte le forze politiche sono rimaste sulle loro posizioni istituzionali, il Governo e gli schieramenti di maggioranza e opposizione idem. Si certo, c’è il tema che la soluzione adottata ha evitato il rischio di elezioni anticipate e la riduzione del numero dei prossimi parlamentari elettivi (a 600 in totale contro i 915 attuali), ma se ci fermassimo a questo dato non coglieremmo il dato di fondo più rilevante: nell’eterno agone della ricerca del consenso, quasi nessun leader assume rischi o si lancia oltre.

D’altronde si tratta di un atteggiamento tattico da guerra di trincea già sperimentato in questa legislatura: mesi per trattate e firmare un contratto (sempre buono per dire “carta canta quindi non è colpa mia!”) per il Governo Conte I, mesi di indugi per capire le norme che intervenivano sui diritti in epoca di pandemia e mesi senza che l’appello della Corte Costituzionale abbia portato alla legge sul fine vita. Una eterna guerra di trincea che annuncia perennemente il letterario “niente di nuovo” e al contempo segnala un problema: l’assunzione del rischio politico non è un elemento di questa fase storica se non in alcuni momenti eccezionali come è stato fatto per la nascita del Governo Conte II e del Governo Draghi. Il “poi ci votano?” lampeggia come una minaccia davanti a troppe scelte, vero e proprio retaggio della cultura del populismo e della necessità (non si capisce il perché…) di una aprioristica coerenza politica che diventa però la base dell’immobilismo piuttosto che dei consensi.

Tutto ciò proprio quando il consenso elettorale è divenuto altamente mobile in un vero “mercato” che di volta in volta parte quasi da zero. Che le scelte siano fatte su di una logica di brevissimo tempo è facile da dimostrare. Basta allungare l’orizzonte di riferimento per la valutazione della coerenza delle posizioni per trovare post sui social e dichiarazioni stampa che vedono tra gli elettori del Presidente Mattarella nel 2022 gli stessi che prima ne volevano la messa in stato di accusa, piuttosto che lo imputavano ad una stretta aderenza a sinistra o che non sapevano che il politico siciliano ucciso dalla mafia era il fratello e non un “congiunto” qualsiasi. E qui, come sempre, salutiamo con gioia e deferenza quella che alcuni chiamano con disprezzo “incoerenza” e che invece si chiama nelle democrazie costituzionali “libertà”. Buon lavoro al Presidente della Repubblica.