È una vergogna dover leggere l’ultima sentenza (Darboe e Camara v. Italy) con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il governo italiano per gravi violazioni ai danni di un migrante minorenne. Ed è una vergogna perché il governo italiano è stato costretto a difendersi argomentando che in effetti qualcosa che non andava nel centro di accoglienza poteva anche esserci, ma dopotutto si trattava di una struttura (il cosiddetto “hub” di Cona, Venezia) ricavata da una caserma per far fronte a un afflusso particolarmente cospicuo di migranti, tra i quali molti minori.

Come dire: eravamo nelle pesti, facevamo il possibile, dunque ci sta che non tutto funzionasse a dovere. Il guaio è che non si trattava di qualche piccola mancanza, ma appunto di trattamenti inumani e degradanti inflitti a minorenni in violazione dei loro diritti più elementari, a cominciare da quello di non essere reclusi in luoghi destinati agli adulti (la Corte ha ripetutamente sottolineato che “le condizioni di accoglienza dei bambini richiedenti asilo devono essere adattate alla loro età, per assicurare che tali condizioni non creino per loro una situazione di stress e ansia, con conseguenze particolarmente traumatiche”).

Leggere che un ragazzino venuto da chissà quale inferno viene sbattuto in un lager sovraffollato di adulti, senza riscaldamento né acqua calda, senza cure mediche e (anche questo è stato un motivo di condanna del nostro Paese) senza la possibilità di rivolgersi a qualcuno per chiedere tutela, significa trovarsi davanti alla faccia la realtà di un sistema che tratta i migranti anche peggio (e ce ne vuole) dei carcerati. All’argomento del governo italiano secondo cui casi simili dovrebbero considerarsi fisiologici in una situazione di grave pressione migratoria, la Corte – ed è un’altra umiliazione – ha risposto ragionevolmente che “le difficoltà derivanti dall’aumento del flussi di migranti e richiedenti asilo non esonera gli Stati membri dalle loro obbligazioni”, che sono quanto meno di non tenere per quattro mesi un bambino dove non potrebbe stare, al freddo, in condizioni igieniche precarie, privato di qualsiasi assistenza e addirittura della possibilità di chiedere aiuto a qualcuno con il potere di sottrarlo a quel degrado.

Ma il grave è ancora altrove. Perché tutti sanno perfettamente che, per un caso che giunge alla giustizia europea dei diritti dell’uomo, mille altri quotidianamente si consumano nella pubblica indifferenza. Sarebbe bello che una forza politica – almeno una, e non ce n’è nessuna – trovasse le parole per dire che qui abbiamo un problema che sta prima delle politiche migratorie, prima del grado di apertura dei porti, prima del lavoro sottopagato, prima persino dell’ordinaria discriminazione razziale: abbiamo il problema di un Paese democratico e cristiano in cui i bambini sono torturati. E si vuol sperare che nessuno risponda che sono cose che capitano.