“Dopo tanti anni di confuse agitazioni, e di fumose «elucubrazioni», il Paese era veramente in attesa. Riusciranno – certi nostri amici – a produrre qualche valore concreto per la società, un’impresa culturale valida per qualche tempo, una iniziativa politica o economica con esiti favorevoli per la gente comune? Saranno capaci, dopo decenni di comizi e cortei, di far funzionare un po’ meglio una scuola, un asilo, una università, un ospedale, un ambulatorio, una ferrovia, un tribunale?”, eccetera eccetera, si chiedeva Alberto Arbasino nel non così lontano 1998 in Paesaggi italiani con zombi.

La risposta, venticinque anni dopo e in barba all’umore collettivo che scalpita per accasciarsi in un lugubre no, è invece sì. Qualcuno capace di produrre quell’impresa culturale valida e insieme di far funzionare un po’ meglio il sistema di accesso ai diritti esiste. È – uno fra altri – il Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati-JRS, da 40 anni impegnato in attività e servizi che hanno l’obiettivo di accompagnare, servire e difendere i diritti di chi arriva in Italia in fuga da guerre, violenze, torture. Non solo. Una volta l’anno il Centro produce un Rapporto che descrive la condizione di richiedenti asilo e rifugiati che usufruiscono dei servizi di prima e seconda accoglienza che l’organizzazione offre, e ne raccoglie le storie.

Nella gara fra fenomeni collettivi per emergere alla soglia dello shock e quindi dell’attenzione pubblica, leggere questa ricerca permette di avvicinare il fenomeno delle migrazioni forti di dati che possono essere ignorati o contestati solo se si è in malafede. Qualche esempio. Nel corso del 2021 i migranti arrivati in Italia via mare sono stati 67.040, quasi il doppio rispetto ai 34.154 dell’anno precedente. I minori stranieri non accompagnati sono stati 9.478, a fronte dei 4.687 del 2020. E i morti o i dispersi nel Mediterraneo Centrale sono stati 1.496 – dal 2013 se ne contano 23.507, secondo i dati dell’Unhcr. Corredo classico di queste cifre, le grida all’invasione, alla minaccia per la sicurezza, ai falsi rifugiati, alle morti colpa dei buonisti. Nei primi tre mesi e pochi giorni di aprile di quest’anno, invece, i profughi ucraini arrivati in Italia sono quasi 90mila. Ben più di tutti i migranti e richiedenti asilo sbarcati durante il 2021. Le impressioni pubbliche sono state qui concordi nel reclamare accoglienza incondizionata: chi confermando vecchi adagi, e ripetuti, chi scoprendo nuove cariche per l’umanità che scappa, dal “profugo vero” alle “persone di buona volontà”. La chiosa del Centro Astalli è adamantina: «Le migrazioni spariscono dai media ma non cessano gli abusi in Libia, le morti in mare e i respingimenti indiscriminati alle frontiere».

E ancora. Come non era difficile prevedere, nel rapporto si legge che «gli effetti socio-economici della pandemia hanno acuito le vulnerabilità dei rifugiati e la marginalità sociale». In particolare, nonostante siano stati superati da due anni i decreti sicurezza, «non si riesce a uscire dalla logica dell’emergenza». Ancora oggi circa due migranti su tre sono ospitati nei Cas, i centri di accoglienza straordinaria pensati per far fronte all’arrivo di grandi numeri. Il sistema dell’accoglienza diffusa (Sai), con piccoli numeri e progetti d’integrazione più mirati ai loro ospiti, accoglie solo 25.000 persone delle 76.000 presenti nelle strutture convenzionate. L’indicazione della ricerca è chiara: che si potenzi la rete Sai così da farla diventare al più presto l’unico sistema di accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale, affinché a tutti possa essere garantito un efficace supporto all’integrazione, secondo standard uniformi. Ma la chiarezza né basta né avanza alla politica e infatti nel 2021 non si sono registrate novità significative rispetto alla programmazione nazionale di un piano per l’integrazione dei titolari di protezione internazionale.

Si moltiplicano le sperimentazioni positive del privato sociale, ma la questione dell’inserimento nel mondo del lavoro e dell’effettiva esigibilità dei diritti, specialmente nel primo periodo di permanenza in Italia, non può essere risolta soltanto dal Terzo Settore. Dei tanti ostacoli che impediscono a richiedenti e titolari di protezione internazionale di fruire pienamente di diritti che dovrebbero essere loro garantiti per legge, tra burocrazie infernali e precarietà sociale, si può almeno non aggiungere quello di non leggere il Grande Balzo Avanti che è il dossier del Centro Astalli. O, peggio, di fargli seguire i soliti Grossi Zompi Indietro.