Congelato lo scontro
Recovery e MES, Lamorgese positiva blocca lo scontro in atto nel governo

Il virus congela per qualche ora una spirale di ultimatum e penultimatum che tra regole per il Recovery fund e comunicazione sul Mes non prometteva nulla di buono per la tenuta della maggioranza. L’aut aut di Renzi consegnato ieri mattina via intervista – «Conte si fermi, no a inutili taskforce e basta con i metodi sprezzanti» relativo alla declinazione italiana del Recovery fund «del cui merito non sappiamo nulla e sul metodo siamo contrari» – aveva indirizzato la giornata verso un destino di rotture. O di retromarce. Comunque di tensione.
Il leader di Italia viva lo ha detto chiaro nella serata di domenica, prima alle sue ministre e poi agli italiani: «Noi così com’è questo piano che ci è stato consegnato alle due del mattino non lo votiamo». L’ultimatum di Renzi ha prodotto prima un rinvio del Cdm che aveva all’ordine del giorno il dossier dalle 9 alle 13. Poi, pochi minuti prima delle 17, nella Sala del Consiglio è piombata la notizia della positività al Covid del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. La riunione è stata subito interrotta. La ministra è andata a casa in autoisolamento (è asintomatica). Come lei anche i ministri Bonafede e Di Maio che le siedono accanto durante i Cdm. Tutti i ministri sono stati sottoposti a tampone e la sala sanificata. Il risultato sono venti ore in più per trovare quello che Iv definisce «un accordo di merito e di metodo». Un accordo “politico” sulla visione del Piano italiano. E soprattutto sulla governance del Piano, chi lo gestirà, con quale struttura e con quali poteri speciali. Un punto questo che lascia perplesso anche il Pd.
La partita Recovery fund s’intreccia pericolosamente con quella del Mes. A ieri sera nessuna delle due aveva trovato una possibile soluzione. Il Consiglio dei ministri è stato aggiornato a stamani. Ma è probabile che un via libera finale ci sia solo domani, dopo le comunicazioni di Conte al Parlamento sul Mes. Nelle quattro ore di riunione ieri hanno parlato il premier, il ministro Gualtieri e la ministra Bellanova, capodelegazione di Iv, l’avamposto di una protesta che va ben oltre Italia viva. I malumori sulla tecnostruttura – cabina di regia con premier e due ministri, Gualtieri e Patuanelli; sei manager e trecento tecnici esterni alla pubblica amministrazione – estranea al Parlamento, alla maggior parte del governo e dei ministeri coinvolgono i sindacati, i direttori generali e i dirigenti dell’amministrazione pubblica.
Se premier e ministro economico, con Patuanelli seduti al vertice della piramide che gestirà i 209 miliardi in arrivo, hanno illustrato la soluzione proposta come «unica possibile perché efficace, non dispersiva, collegiale, inclusiva», Bellanova ha messo in fila mancanze e difetti della piramide ideata da Conte. Un’operazione “opaca”, al “limite della Costituzione” e “contraddittoria”. Opaca perché non sono chiari i criteri con cui saranno scelti manager e tecnici (300 forse già calati a cento) a cui si vogliono dare «poteri speciali in deroga» per realizzare i progetti nei tempi previsti. A prova di costituzionalità perché la carta «non prevede di esautorare ministri e dirigenti dei vari ministeri e le stesse Regioni a cui sarà chiesto al massimo di mettersi al servizio di esterni».
Un’operazione contraddittoria perché «se i progetti proposti sono così ben strutturati e congegnati, si sappia che quei progetti sono stati firmati dagli stessi uffici che ora vengono messi da parte». E poi c’è un problema di genere grosso come una casa, ancora più irritante visto che uno dei sei pilastri del Recovery plan italiano è la parità di genere: nella cabina di regia non c’è ombra di una donna. Bellanova avrebbe definito la terza parte del Piano, dedicata all’ “Attuazione e al monitoraggio”, una «fotografia ingiallita» e «a rischio di costituzionalità».
Conte non ha fatto in tempo ad argomentare. Così come non c’è stato tempo ieri di sentire l’opinione di Di Maio, Guerini, Franceschini. Il virus ha congelato ogni tensione. Italia viva è stata chiara: se il Piano finirà in un decreto a parte, i renziani non lo votano. Peggio ancora se Conte dovesse decidere di allungare un emendamento alla legge di Bilancio che potrà stare appena cinque giorni tra Commissione e aula. E in un ramo solo del Parlamento. Fonti di Italia Viva sottolineano come da almeno dieci giorni era stato chiesto a Conte di condividere il dossier Recovery per poterne discutere con un po’ di calma. Ne è stata data una copia dieci giorni dopo, a poche ore dall’inizio del Cdm e dopo che Conte aveva provveduto a spiegarne i dettagli in un’intervista a doppia pagina su un quotidiano. Non esattamente un gioco di squadra.
La tensione è alta nella maggioranza. Anche dal fronte del Mes non arrivano buone notizie. La delegazione di 58 parlamentari dei 5 Stelle è al lavoro per trovare la sintesi in una risoluzione che faccia salve le istanze di Pd e Italia viva (a favore del Mes) e quelle dei 5 Stelle che invece possono forse accettare solo il capitolo della riforma del Trattato. Ma i ribelli non accettano neppure questa concessione e continuano a chiedere il rinvio della riforma di cui il ministro Gualtieri e il premier Conte si sono già fatti garanti in Europa.
Il tema è quanti senatori i ribelli frondisti riusciranno a sottrarre alla maggioranza. I renziani ieri sera hanno annunciato che non metteranno la loro firma sulla risoluzione di maggioranza prima di conoscere l’intervento del premier. Basta voti a scatola chiusa. «Il governo non cadrà sul Mes» ha promesso Conte. Vero. Il pallottoliere sembra dargli ragione. Ma una volta approvata la legge di Bilancio le cose possono cambiare.
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