Il Covid dovrebbe essere una ragione in più affinché i detenuti possano accedere ai benefici penitenziari e si riduca la popolazione carceraria. Il condizionale è d’obbligo perché esiste una norma simbolo che fa da ostacolo all’attenuazione della durezza delle condizioni di detenzione, il famoso articolo 4 bis da non confondere con un altro articolo ancora più famoso, il 41 bis. Il 41 bis norma, si fa per dire, il cosiddetto “carcere duro” ed è di antica data perché nasce con l’emergenza antimafia all’inizio degli anni ‘90 ma agisce, in pratica, in continuità con l’articolo 90 del regolamento penitenziario che risale alla madre di tutte le emergenze, quella relativa alla repressione della sovversione interna degli anni ‘70 e ‘80.

Del tema si occupa il lavoro che ha per titolo Regime ostativo ai benefici penitenziari. Evoluzione del “doppio binario” e prassi applicative. L’autrice è Veronica Manca, avvocato e membro dell’Osservatorio carcere della Camera penale di Trento. Sono 280 pagine, 29 euro, editore Giuffrè Francis Lefebvre. Il cuore del problema sono tutte quelle norme che derogano alle regole generali in materia penitenziaria, ponendo in essere dei regimi applicativi “differenziati” della pena e ostativi della rieducazione e possibilità di risocializzazione. Prevalgono invece esigenze general-preventive di intimidazione, perché il condannato viene ritenuto socialmente pericoloso e quindi non meritevole di accedere ai benefici penitenziari. Secondo l’avvocato Manca, va verificato se con le discipline differenziate si garantisce comunque il rispetto dei diritti fondamentali che fanno capo alla dignità della persona umana anche se reclusa e anche se ritenuta dal legislatore pericolosa. La risposta è senza ombra di dubbio no.

La Costituzione della Repubblica, o quello che ne rimane nel Paese dell’emergenza infinita ad avviso di chi scrive queste righe, fa fatica (eufemismo) a entrare nelle prigioni. Secondo l’autrice del libro, l’articolo 4 bis costituisce il modello per eccellenza di deroga all’accesso ai benefici penitenziari dando origine a un binario parallelo per cui la regola diventa l’eccezione. Perché solo a determinate condizioni è possibile infatti accedere ai benefici. Il doppio binario è parallelo fin dal processo e dal giudicato penale di condanna a causa dell’accesso diretto in carcere per gli autori di reati contenuti nell’articolo 4 bis. E se, come si diceva all’inizio, al 4 bis si somma il 41 bis, il regime di sospensione delle regole ordinarie di trattamento, il binario parallelo può innestarsi anche prima della fase processuale quando l’autore del reato è solo un indagato o un imputato.

Il doppio binario esplica i propri effetti anche oltre l’esecuzione della pena detentiva, condiziona pesantemente la fase cautelare e influenza la strategia difensiva che deve essere necessariamente già proiettata in funzione dell’esecuzione della pena. La pena detentiva viene resa immutabile senza poter subire trasformazioni in sanzioni diverse dal carcere. C’è un iter trattamentale parallelo che si coglie già dalla collocazione dei condannati in sezioni separate, circuiti di alta sicurezza o in sezioni apposite per i detenuti in regime di 41 bis. Ne consegue una forte compressione dei diritti soggettivi del detenuto, dalla corrispondenza ai contatti con esterni ai colloqui con i familiari. I giudici inglesi, ricordiamo, avevano negato di concedere l’estradizione di un condannato in Italia a causa del sovraffollamento carcerario. Al contrario gli svizzeri avevano concesso l’estradizione di un condannato premiando le recenti riforme che testimoniano una seria presa in carico del problema da parte delle autorità italiane.

Ma, per esempio, l’introduzione della legge cosiddetta “spazzacorrotti” rivela uno schema di politica criminale general-preventivo per i delitti commessi da pubblici ufficiali. È precluso l’accesso ai benefici se non per il tramite dell’avvenuta “collaborazione” con la giustizia. Tentativi di riforma si sono avuti di recente attribuendo alla magistratura di sorveglianza il potere di valutare la posizione del detenuto anche se “non collaborante” sulla scorta di tutti gli ulteriori elementi, come l’assenza di legami con la criminalità organizzata, le condotte riparative o manifestazioni di ravvedimento. Nel libro si ricordano le rivolte carcerarie, con 13 morti, del marzo scorso con la presa d’atto che laddove l’epidemia dovesse raggiungere i detenuti – in realtà lo sta già facendo, come raccontano le cronache di questi giorni – non ci sarebbero strumenti, strutture adeguate né per fronteggiare le conseguenze né per prevenire ulteriori situazioni di rischio.

Al fine di tutelare la salute dei detenuti, propone l’autrice, potrebbero essere estese le ipotesi di sospensione/differimento della pena per un arco di tempo limitato all’emergenza e/o anche un aumento di giorni da computare alla liberazione anticipata. Tenendo presente che, allo stato, la fine della pandemia appare abbastanza lontana e che le condizioni delle prigioni non consentono di utilizzare le precauzioni adottate all’esterno, a cominciare dal distanziamento tra una persona e l’altra.