Durante il voto di fiducia alla Camera, le opposizioni hanno colpito per due episodi diversi, opposti. Da una parte alcuni applausi giustizialisti anche del Pd all’intervento dell’ex magistrato Roberto Scarpinato, dall’altra lo show di Matteo Renzi che più che fare le pulci alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha attaccato il suo ex partito, reo dal suo punto di vista di aver sbagliato bersaglio.

Per il leader di Italia viva, il merito è una parola che abbinata alla scuola è un concetto da rivendicare e stupidi noi che invece preferiamo la parola uguaglianza. Se l’è poi presa con l’uso del linguaggio sessuato, perché sarebbe un orpello borghese, quella borghesia da cui comunque Renzi in questi anni ha preso più voti. Sul linguaggio sessuato e sull’importanza del linguaggio in generale si potrebbero scrivere libri, libri che in realtà sono stati scritti e che prima di parlare andrebbero, non dico studiati, almeno un po’ letti. Non tutti, almeno due, le basi per non fare figuracce: Ferdinand de Saussure e Alma Sabatini. Aggiungo anche Roland Barthes che in Elementi di semiologia – un libello che si legge facilmente – spiega bene l’intreccio tra lingua e realtà.

Ma queste sono considerazioni di merito e oggi la politica è soprattutto battuta facile, sceneggiatura mediatica: quella che strappa gli applausi per Meloni contro Ilaria Cucchi o contro Deborah Serracchiani che non aveva certo detto che la premier sta un passo indietro agli uomini ma che le sue politiche rischiano di far stare altri milioni di donne indietro. Lo pensano tante donne e tanti uomini in Italia. Spesso poi la politica è banale tattica. Nel caso di Renzi sembrerebbe che l’intenzione sia quella di ottenere qualche presidenza e di rosicchiare qualche voto ulteriore al partito Democratico. Il governo di destra può stare tranquillo, il centrosinistra è alle prese con ben altre imprese e sfide: crescere nei sondaggi contro il vicino di casa. L’effetto del discorso di Renzi è quello di rafforzare il rischio di un nuovo spostamento dei dem verso i Cinque Stelle, che poi vuol dire una opposizione o alcune delle opposizioni che continuerebbero a propagare quella cultura giustizialista e populista che tanto ha fatto male alla politica italiana.

Eppure se un nuovo centrosinistra deve nascere non può che avere due stelle polari: l’intreccio di diritti civili e diritti sociali per un verso, dall’altro la possibilità di fare i conti con il culto delle manette. Su entrambi i fronti si registrano grandi ritardi. L’anti berlusconismo fondato sul potere delle procure è uno degli elementi che ci ha portato a questo sfascio e che continua a essere una tentazione forte in tanta parte della sinistra, mentre è una certezza identitaria nel partito contiano che ha cambiato pelle dai tempi del grillismo puro e duro ma che su questo elemento, ben tenuto saldo da Travaglio, non cede di un passo. Si tratta di voltare pagina e di farlo radicalmente, non solo per avere una giustizia giusta e non avere più processi mediatici, soprattutto quando in gioco ci sono gli avversari politici.

È una questione ancora più seria, più radicale che riguarda il profilo, il Dna di una forza – chiamiamola pure di centrosinistra – che si candidi a governare il Paese. Dovrebbe essere questa la vera sfida anche del Partito democratico in vista del congresso. Non tanto la ricerca di un leader, ma il chiarimento di quale sia la propria identità, i propri valori, la propria comunità. Per fare questo, è necessario chiudere con la stagione populista e riprendere il discorso dei diritti, non vergognandosi ma rivendicando le battaglie fatte e quelle da fare anche per i diritti civili.

Avatar photo