E hanno il coraggio di chiamarla giustizia
Romeo condannato a sette anni e mezzo per una pianta e una cena: i soldi dei contribuenti se ne vanno inseguendo un mirtyllocactus

Il nostro editore – e mio caro amico – Alfredo Romeo ieri si è beccato una condanna in primo grado dal Tribunale di Napoli, per una serie di reati che il collega Ciro Cuozzo descrive qui sotto in tutti i dettagli: c’è solo da leggere, finanche da sorridere, per l’assurdità della sentenza. Naturalmente il giudizio non potrà che essere ribaltato in seconda istanza, ma il fatto che i soldi dei contribuenti se ne vadano inseguendo per anni un mirtyllocactus, è veramente deprimente. Al nostro editore, che ha spalle solide e forti, la massima solidarietà. Per la giustizia italiana solo una prece. (di Claudio Velardi)
Una pianta (myrtillocactus) regalata e dal valore di poche decine di euro, una cena offerta di circa 200 euro, alcuni ingressi gratuiti nella spa dell’albergo, l’assunzione di un uomo legato a un funzionario comunale che in realtà era già a contratto da due anni, un furto di elettricità gravissimo (del valore di ben otto euro e dovuto a lenzuola lavate non nelle lavatrici del Cardarelli ma in quelle del Tribunale di Napoli con l’azienda, la Romeo Gestioni, che aveva appalti di pulizie sia da una parte che dall’altra), il mancato pagamento dell’affitto del suolo pubblico per pulire i vetri dell’albergo di lusso (in realtà pagata due volte in quanto già in atto la concessione per altro titolo).
Va bene, come spesso ribadito più volte da questo giornale, che i processi di primo grado tendono a confermare il castello accusatorio delle Procure, ma ricevere dopo otto anni, e oltre dieci giudici cambiati, una condanna a 7 anni e 6 mesi per una presunta corruzione (riconducibile ad un giro d’affari di circa 800 euro) lascia più di qualche dubbio sul reale funzionamento della giustizia in Italia.
E’ quanto accaduto ieri nel Tribunale di Napoli dove i giudici della prima sezione penale (collegio A, presidente Maurizio Conte) hanno condannato l’imprenditore ed editore di Riformista e Unità Alfredo Romeo e l’architetto Ivan Russo, suo stretto collaboratore e dirigente della holding Romeo, nell’ambito del troncone napoletano delle indagini condotte dal pm Henry John Woodcock che oltre otto anni fa diedero vita al processo Consip, con il filone romano, quello principale, già sgonfiato in tutti questi anni di processi e assoluzioni.
Romeo, come detto, è stato condannato a 7 anni e 6 mesi (addirittura dieci mesi in più di quanto chiesto da Woodock), Russo a quattro anni e sei mesi (quattro mesi in più rispetto alla pretesa del pm anglo-napoletano). Le accuse? Presunti favori e regali a un ex dirigente, a dipendenti del Comune di Napoli, ad altri pubblici funzionari e ad una funzionaria della Soprintendenza di Roma in cambio di pratiche amministrative e valutazioni positive. Prescritta quella della presunta assunzione del dipendente… già assunto. Caduta invece quella degli ingressi gratis o a metà prezzo per il percorso benessere. Il tutto nell’ambito di una indagine partita subito malissimo con la trascrizione sbagliata dell’intercettazione tra due dipendenti: venne confusa la parola cleaning, spesso utilizzata in una azienda di pulizie, con crimine. “Tu sei il responsabile crimine dell’azienda” diceva un dipendente ad un collega.
Il filone napoletano è stato anche sdoppiato: da una parte il rito immediato, arrivato però dopo ben otto anni!, per Romeo e Russo perché all’epoca dei fatti, primo marzo 2017, erano stati addirittura arrestati, dall’altra una cinquantina di imputati, tra i quali quelli che sarebbero stati corrotti. Romeo dopo mesi in carcere e oltre tre mesi agli arresti domiciliari, tornò libero grazie al fatto che la Cassazione aveva annullato il titolo cautelare per insussistenza di tutti i presupposti di legge (gravi indizi ed esigenze cautelari).
I legali di “uno dei più importanti imprenditori italiani” oggi esprimono “tutto il proprio stupore per una severa sentenza di condanna incomprensibile nel merito, e totalmente incoerente con la prova dibattimentale raccolta. Leggeremo le motivazioni della sentenza, che ovviamente impugneremo, curiosi di conoscere quali sarebbero, in tutte queste vicende, gli atti contrari ai doveri di ufficio posti in essere dai funzionari pubblici asseritamente corrotti con simili, grottesche prebende” commentano Giovan Battista Vignola e Francesco Carotenuto (che difendono Romeo) e Gian Domenico Caiazza e Alfredo Sorge per conto di Ivan Russo.
© Riproduzione riservata